Santi

«Rallegratevi ed esultate» (Mt 5,12), dice Gesù a coloro che sono perseguitati o umiliati per causa sua. Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. (dall’esortazione apostolica “Gaudete et Exultate” di Papa Francesco)

In questa pagina troverai le storie di alcuni giovani che non hanno avuto paura di puntare in alto e che vogliono dire anche a te, oggi, che la santità è davvero possibile.


MARCO SANTAMARIA: IL TOTALE ABBANDONO A DIO

SI, il mondo appartiene a Dio! A Lui appartengono l’universo e tutte le persone tutte, perché sia l’uno che le altre sono opera delle sue mani e tutto è stato creato per amore.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

Marco Santamaria nasce a Benevento il 13 giugno 1987. Già dalla tenera età si avvicina alla fede grazie ai genitori. Mamma Rita e papà Carmine sono infatti membri del cenacolo “Missione Immacolata Mediatrice” a Benevento, consacrati con “l’atto di consacrazione illimitata” e successivamente con il Voto Mariano. Anche Marco fa parte del cenacolo ed è consacrato alla MIM dei piccoli.

Non è mai assente alla Messa e ne diventa un vero esperto della liturgia, facendo da guida e maestro a tutti gli altri chierichetti. Da adolescente entra a far parte della Gioventù Francescana di Benevento dove inizia anche un cammino spirituale.

La sua fede cresce sempre più e diventa concreta nella sua vita quotidiana: è molto altruista e dimostra sempre amore verso Gesù. Lo sguardo di Marco è rivolto sempre “all’altro” e mai a sé stesso, soprattutto quando si relaziona con persone bisognose o ammalate. Per questo si iscrive assieme alla mamma all’Associazione Volontari Ospedalieri “distribuendo aiuto, sorrisi e coraggio agli ammalati”.

La solarità di Marco si nota anche nelle relazioni che vive: adora fare sport di squadra, ha tantissimi amici e tra questi trova anche una fidanzata con la quale condivide la fede.

Appassionato di calcio intraprende l’attività di giornalista sportivo: è il sogno della sua vita. Mentre il sogno si realizza, anche i colleghi che gli stanno attorno si accorgono del suo talento e della Luce che emana con la sua vita.

Durante la giovinezza di Marco avviene un cambiamento che segna in maniera indelebile la sua vita: la malattia e la successiva morte della mamma, alla quale il ragazzo è profondamente legato, grazie alla fede e agli ideali che condividevano: è un grande esempio di riferimento per lui. Marco riesce però a vivere questo dolore con Dio, rimanendo sereno nella fatica e si prendendosi cura del papà e della sorella minore.

Dopo un anno dalla nascita al Cielo della madre, Marco nota dei segni sul suo corpo. Ipotizza una diagnosi grazie a internet: tumore all’apparato genitale, ma decide di non dire nulla a nessuno.

Dopo un anno, a causa di dolori alla schiena, esegue una visita col padre, nel quale poi emerge la sua malattia e viene confermata la diagnosi. Come risposta alla domanda sul motivo per il quale tiene la malattia segreta, il ragazzo risponde che non vuole essere causa di nuove preoccupazioni e dolori in famiglia dopo la morte della madre.

Inizia quindi le cure e, nonostante tutte le sofferenze e i disagi, sul volto di Marco è sempre presente un sorriso. È abbandonato alla volontà di Dio. Per questo continua a lavorare e svolgere le sue attività, non si lamenta mai, ad eccezione di qualche volta con la fidanzata: “Marco arrivava a far sentire qualche suo lamento solo quando non ne poteva davvero più e umanamente aveva bisogno di essere sostenuto”.

La malattia evolve e lo stato di salute di Marco peggiora sempre di più. Tutti pregano per lui e per la sua guarigione ma egli è pronto ad accettare tutto. Una settimana prima della morte, l’arcivescovo (con il quale aveva un rapporto di paterna amicizia) gli dice di voler chiedere l’intercessione della prossima beata Teresa Manganiello, con la speranza che l’eventuale guarigione possa essere presentata come miracolo per la canonizzazione della Beata. Risponde Marco: “Non pregate per la mia guarigione, ma perché si compia in me la Volontà di Dio e per la grazia di una buona morte”.

Il 19 maggio recita questa preghiera da lui scritta:

Grazie, o Signore,
perché anche oggi mi hai chiamato
a partecipare al tuo sacrificio eucaristico.
Grazie, Signore Gesù,
per avermi invitato alla tua mensa eucaristica.
Grazie, Signore Gesù,
per questo grande, immenso dono d’amore
che ci hai lasciato
e perché continui
a sacrificarti per noi sull’altare.
Ti ringrazio e Ti prego per me
e per tutti quelli che ogni giorno ti ricevono
nella Santissima Eucarestia:
illuminaci con il tuo Spirito.
Fa’ che il tuo Spirito possa aprire
il nostro cuore, la nostra mente, il nostro intelletto
così che possiamo farti conoscere a chi non Ti ama,
Tu che sei un Dio buono che tutto dà
senza nulla chiedere.
Come già avvenuto, tutto Ti abbraccio.
Dammi il tuo santo Amore
e la perseveranza finale.

Il 20 maggio si compie la Volontà di Dio ed egli nasce al Cielo durante la recita di un Santo Rosario.

Fonte: http://www.marco-santamaria.it/index.php/

REBECCA COLOMBANO: UN CUORE CHE BATTE ETERNAMENTE

È una persona bella perché irradia quella purezza e quella luce che sono il riflesso dello splendore di Dio. […] È una persona bella perché la santità interiore si manifesta all’esterno rendendo bello il sorriso, vivo lo sguardo, dolce e carezzevole il viso, affascinante il modo di aprirsi con gli altri.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

 
Rebecca nasce il 12 gennaio 2010 dopo una gravidanza difficile e un parto molto complesso definito fin da subito “prodigioso”.

La piccola è solare e contagia tutti con il suo sorriso e lo “spirito vulcanico” come testimoniano le sue maestre dell’asilo: “Con i tuoi occhi grandi ed espressivi osservavi tutti e in particolare scrutavi noi insegnanti per capire se potessimo essere per te un punto di riferimento. Con il tuo viso bello e simpatico hai saputo infondere simpatia in tutti noi e farti proteggere e coccolare anche dai bambini poco più grandi di te”.

Il suo primo disegno è un cuore per mamma e uno per papà: “già allora ci stavi insegnando che nella vita non c’è nulla di più importante che l’amore e il saper amare!”.

A tre anni Rebecca impara il Padre Nostro. A messa, infatti, è sempre irrequieta ad eccezione del momento in cui si recita la preghiera: sale in braccio al papà per ripeterla insieme.

Mentre Rebecca cresce, aumenta anche la sua sensibilità, nella quale prova compassione per chiunque non sta bene. La madre riguardo questa attenzione verso i più deboli esprime al marito: “Speriamo che riesca poi a costruirsi anche una corazza per vivere con giusta attenzione questa sua sensibilità e così avere la forza di affrontare anche l’inevitabile ingratitudine che purtroppo incontrerà”.

Il 24 giugno 2013 accade un fatto particolare: Rebecca e la mamma devono svolgere alcune commissioni in macchina. Prima di essere allacciata al seggiolino in macchina abbraccia il papà con grande affetto e gli dà un bacio, ma dopo aver percorso pochi metri la macchina torna indietro perché la piccola insiste molto nel volerlo salutare nuovamente. Dopo qualche varie coccole col papà la macchina riparte e Rebecca dice alla madre: “Mamma, adesso io dormo, ma ricordati che saremo per sempre amiche!” e alza il pollice come fa solitamente con gli amici dell’asilo. La madre le risponde di dormire perché la strada sarebbe stata lunga. Dopo pochi chilometri, a causa di un grave incidente stradale, Rebecca subisce un grave trauma e dopo due giorni, mercoledì 26 giugno, sale al Cielo nel “posto preparato per lei nella Casa del Padre, da tutta l’eternità” (cfr Gv 14).

Nei giorni del ricovero in ospedale Rebecca dona il suo cuore, fegato e reni ad altri quattro bimbi. “Il chicco di grano non è caduto a terra invano, perché accettando di “morire” ha portato abbondante frutto” (cfr Gv 12,24-25).

(fonte: https://www.gruppomariaportadelcielo.it/i_nostri_angeli/Rebecca_Colombano/Rebecca_Colombano.html)

ANTONIO TERRANOVA: LA DEVOZIONE VERSO LA MADONNA

La necessità di un’intima comunione con Gesù è personalmente illustrata da Gesù stesso con le note similitudini della vite e del pane. […] «Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame, e chi crede in me non avrà più sete». La preghiera e i sacramenti creano questa comunione vitale fra Gesù e il singolo cristiano.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

 
Antonio Terranova nasce il 14 luglio 2004 a Palermo.

La famiglia non frequenta la Chiesa, ma da subito Gesù conquista il cuore di Antonio e lo plasma a sua immagine: da quando è piccolo mostra attenzione verso i più deboli, ad esempio si accerta che la mamma gli metta nello zaino qualche merendina in più per condividerla eventualmente con chi è senza oppure aiuta i compagni con maggiore difficoltà.

A sei anni, ammalato di tumore al fegato con cirrosi, necessita urgentemente di un trapianto. I medici inizialmente sono così sfiduciati che non vogliono metterlo in lista d’attesa e la famiglia da subito si attacca alla Croce del Signore pregando incessantemente giorno e notte.

Al centro trapianti imparano la preghiera della “Divina Misericordia” che ripetono ogni pomeriggio nella cappella dell’ospedale insieme al Santo Rosario. “Alla fine della preghiera Antonio si fermava, ci guardava tutti e diceva: “Avete dimenticato di dire una cosa importante “Gesù Confido in Te””.

Una mattina, straziato da prelievi, tac e visite, prende tra le mani la Croce di San Benedetto e stringendola forte a sé urla: “Gesù dove sei? Io ho sempre creduto in te, ma se ora tu non mi aiuti, io a te non ci credo più”.

Durante il ricovero, un giorno, arriva un fegato pediatrico compatibile per il trapianto, stupendo medici e infermieri. Sono tutti contenti, ma la madre soffre terribilmente perché quel giorno muore un bimbo di undici anni per aneurisma cerebrale per il quale non c’è stato il tempo di pregare.

Il trapianto è un successo, rimangono tutti increduli per la semplicità dell’intervento, ma pochi giorni dopo, alla tac di controllo, emerge che il tumore sta invadendo i polmoni, per questo Antonio inizia un ciclo di chemioterapia di 20 sedute.

Dopo quel ciclo di terapie sembra che la situazione migliori, invece all’improvviso sfugge tutto di mano e la malattia avanza molto velocemente. Nonostante tutto Antonio non si lamenta quasi mai e raramente si comporta come un bambino della sua età abbandonandosi ai pianti. Dà sempre coraggio alla famiglia dicendo: “Mamma perché ti disperi, devi stare tranquilla tanto la Madonnina mi ha detto che presto tutto finirà”, dice che la Madonnina non gli parla con la voce ma nel cuore.

Più passano i giorni e più aumenta la fede di Antonio, la madre infatti testimonia che il figlio “si chiedeva come fosse possibile che ci fosse gente che non credeva in Gesù, che lui invece sentiva così vicino. Un pomeriggio alle tre in punto, mentre stavamo recitando la Divina Misericordia in casa nostra, il mio sguardo e quello di Antonio si incrociarono l’uno verso l’altro, ed io un po’ spaventata, mi fermai chiedendogli cosa fosse successo. Lui mi rispose con voce incredula: “Mamma, zitta zitta, continua a pregare altrimenti se ne va’”. Continuammo a pregare e alla fine disse: “Mamma c’era la Madonnina e la vedevo attraverso i tuoi occhi, era venuta a benedirmi””.

A settembre 2012, a soli otto anni, dopo averla desiderata per moltissimo tempo, Antonio riceve l’Eucarestia per la prima volta.

Verso la fine di novembre la situazione peggiora sempre di più, per questo la famiglia decide di partire in viaggio verso Lourdes. A Marsiglia, una sera, Antonio appare strano e in preda a dolori fortissimi afferma di provare una sensazione nuova: “Papà…papà: è una sensazione bellissima, mi sembra di essere in cielo, sento calore nella pancia che mi fa stare bene, mi viene di ballare, di cantare, di gridare, papà sto bene e pregherò per te perché possa sentirla anche tu questa bella sensazione che sto provando”.

Giunti a destinazione Antonio prega per gli altri e non per la sua guarigione, rassicurando sempre tutti che l’avrebbe fatto successivamente. Inizia lì la preghiera incessante della famiglia, ma la situazione non migliora e anche a casa il bimbo soffre con dolori atroci incontrollabili.

La fede di Antonio cresce sempre più grazie anche alla maestra delle elementari, che dopo aver preso in carico la classe si accorge di dover affrontare la terza recidiva di un tumore maligno. La sua grandissima fede la porta a raccontare agli studenti il suo solido rapporto con Dio e il senso della Vita Eterna. Quando il bambino si aggrava confida alla collega: “Se Antonio sta andando, devo andare prima io: devo essere io ad accoglierlo in Cielo!” e così accade.

Dopo una notte passata svegli per via dei dolori e della sofferenza, alla vigilia dell’Epifania, decidono di andare in ospedale e finalmente gli operatori sanitari riescono ad alleviare i dolori. Stremato, Antonio si reca nel corridoio del reparto e inizia a piangere. Questa cosa stupisce la madre perché Antonio non piange mai per la sofferenza e lo fa quando essa smette di tormentarlo, lui risponde: “Mamma sto pensando a quanto ha sofferto Gesù sulla croce, la mia sofferenza in confronto è niente”.

La fatica continua e anche Antonio cade nella tentazione e afferma di arrabbiarsi con Gesù dicendo che non lo aiuta e che è inutile pregare. Questi momenti però durano poco, chiede quindi scusa a Gesù e torna a fidarsi di Lui nonostante sia scoraggiato.

Un pomeriggio, a casa di Padre Marco Lupo della Chiesa dell’Acquasanta dove frequentano un gruppo di preghiera, avviene un primo miracolo del cuore: Antonio non si lamenta più e incoraggia tutti ad andare avanti. In ginocchio a causa dei dolori stringe i pugni e dice alla madre: “Mamma, non ha importanza se adesso Gesù non mi guarisce, tanto io so che con la mia sofferenza sta guarendo i bambini del reparto”.

Negli ultimi mesi Antonio passa le giornate facendo recitare giorno e notte la Divina Misericordia alla famiglia e nutrendosi solo di Eucarestia e, pur sembrando in coma, riesce sempre ad aprire gli occhi e dire “Amen”.

Il 21 febbraio 2013 viene portata a casa la Madonnina di Medjugorje in scala reale che non va mai negli appartamenti perché non rientra nei progetti della Signora Cetty che si occupa di donarla solo alle chiese. Quando vanno via tutti, la madre gli chiede per quale motivo è in casa loro, lui risponde che la Madonnina è venuta a prenderlo.

Il 23 febbraio Antonio sale al Cielo con la sua amata Madonnina. “Signore… non ti chiediamo perché te lo sei preso, ma ti ringraziamo per avercelo donato”.

(fonti: https://it.aleteia.org/2017/09/23/mamma-sto-pensando-a-quanto-ha-sofferto-gesu-sulla-croce-la-mia-sofferenza-in-confronto-e-niente, https://lanuovabq.it/it/un-bambino-predestinato-nellamore)

GIOVANNA DI MARIA: L’AMORE PER IL PERDONO

La penitenza ci concede il perdono dei peccati ridonandoci la Grazia perduta e sostenendoci nel combattimento contro il male.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

 
Giovanna Rita di Maria nasce il 30 novembre 1989 ad Alghero. Cresce a Sassari con una famiglia di sani principi e una fede molto salda.

Ha molti amici e una passione per la pallavolo, piena di energia e di entusiasmo “in questa ordinarietà cresceva con lei qualcosa di straordinario”.

È una bambina ordinata e sempre pronta ad aiutare chi le chiede aiuto, come bambini e anziani. La sua attenzione verso l’altro si nota quando decide di iniziare a dormire per terra, dice che la fa stare bene perché si sente vicino a chi lo fa per necessità.

Già ad otto anni mostra una grande maturità nella fede: “II grande messaggio di Gesù è: pace, amore, gioia. Io vorrei fare qualcosa per migliorare il mondo. Secondo me se ognuno si impegnasse a fare buone azioni il mondo migliorerebbe. Gesù nel nostro cuore non deve vivere come ospite ma come padrone di casa”.

La preghiera preferita di Giovanna è quella del perdono, prende dalla madre una cartolina sul perdono portata a casa dopo un incontro con il Rinnovamento nello Spirito Santo: “Fin da bambina la teneva gelosamente custodita sotto il cuscino, raccomandando ad ogni occasione che restasse sempre lì, costantemente a portata di mano, a mo’ di compagna inseparabile anche durante il sonno. Lei ripeteva sempre che Dio è gioia e non c’è gioia nel cuore se non c’è il Perdono”.

Per lei il perdono è tutto, infatti una volta un’amica le fa un torto grave, i genitori le consigliano di tenersi a distanza da lei, dopo poco le vedono abbracciate, chiedendo spiegazioni risponde alla madre: “Mamma tu ancora non mi conosci: io devo perdonare”.

Quando le giunge la notizia di una bambina ammalata di tumore decide di mandarle libri e videocassette di cartoni animati, chiede di conoscerla, ma la bambina sale al Cielo prima.

Spesso parla della vita dopo la morte, una volta parlando con sua madre dice: “Mamma, se io dovessi morire non ti preoccupare, intanto hai Ettore e devi stare serena… Se il Signore mi vuole io sono pronta”. La madre in una testimonianza racconta: “Mi diceva che sarebbe morta da giovane e che voleva andare in cielo e da lì vedere le persone che avevano bisogno per poterle aiutare. Una mattina, appena sveglia, mi raccontò che prima di addormentarsi aveva ricevuto la visita di un Angelo, tutto bianco e con grandi ali. “Mi ha preso in braccio – disse – mi ha fatto fare il giro della casa, entrando in tutte le stanze, e poi mi ha rimesso a letto”.

Il 18 ottobre, a 12 anni, finito un allenamento di pallavolo, sceglie di salutare tutte le compagne e le allenatrici una ad una anche se le avrebbe riviste dopo due giorni, quando torna a casa chiede al fratello di vedere il diario e di nascosto gli scrive: “Vivi la cosa che non avrai mai due volte: la vita”.

Facendo una ruota le viene un forte mal di testa, il padre la porta velocemente in pronto soccorso e arriva la diagnosi: Giovanna è colpita da una devastante emorragia celebrale. Dopo 6 giorni, nasce al Cielo.

“Io e mio marito non ci siamo mai arrabbiati perché ci è stata tolta, ma abbiamo sempre ringraziato Dio per avercela donata. Come se in quel momento io sentissi dentro di me da dove era venuta e dove era ritornata Giovanna: il Paradiso”.

(fonti: http://giovannadimaria.altervista.org/vita.html, https://santuariosantarita.it/un-angelo-di-nome-kiri/, https://youtu.be/25YADWhuumg)

EMER MEZZANOTTE: IL RIFLESSO DI DIO

[…] Non si fa discernimento per scoprire cos’altro possiamo ricavare da questa vita, ma per riconoscere come possiamo compiere meglio la missione che ci è stata affidata nel Battesimo, e ciò implica essere disposti a rinunce fino a dare tutto. Infatti, la felicità è paradossale e ci regala le migliori esperienze quando accettiamo quella logica misteriosa che non è di questo mondo. Come diceva san Bonaventura riferendosi alla croce: «Questa è la nostra logica». Se uno assume questa dinamica, allora non lascia anestetizzare la propria coscienza e si apre generosamente al discernimento.

(Papa Francesco, GE 174)

 
Emer nasce a Carpi il 17 aprile 1974. Al momento della nascita gli viene affidato il nome del nonno: tutti si interrogano su tale significato. Il nome deriva dal greco e vuol dire ‘giorno’, “e ripensando alla simbologia del giorno come luce, ci appare oggi quasi come una premonizione”.

L’infanzia di Emer è simile a quella degli altri bambini: dolce, affettuoso e docile ai genitori.

Quando Emer ha sei anni, la mamma si sottopone a un intervento chirurgico delicato, lui soffre in quei giorni, ma con il rincaso della madre torna anche la gioia e lui inizia ad essere premuroso e servizievole in tutto.

Durante le elementari il suo carattere si vivacizza: rimane sempre rispettoso verso i genitori, ma iniziano a scorgere tratti più esuberanti del suo carattere.

A 9 anni entra a far parte del gruppo scout locale dove ci rimane fino a 17 anni. Questa diventa l’occasione per conoscere nuovi amici, in particolare Filippo, e per crescere nell’esperienza umana.

L’anno successivo il padre, medico chirurgo, decide di lasciare l’ospedale e di partire volontario per il Pakistan per una missione di 4 mesi con la Croce Rossa. Questa notizia scuote tutti, soprattutto coloro che rimangono a casa. Dopo un solo mese scoppia una bomba nell’accampamento dove si trova il padre che non subisce danni, ma decide di tornare a casa. Riunita tutta la famiglia, si avvicinano al movimento Neocatecumenale.

Da un tema svolto in classe, di cui non sono mai stati resi pubblici i contenuti, la maestra, stupita, intuisce una propensione religiosa di Emer e dice alla madre: “questo ragazzo diventerà sacerdote”.

Durante le scuole medie, Emer ottiene ancora ottimi risultati e si nota un atteggiamento sempre più maturo, la sua esuberanza lascia spazio alla serietà, è molto composto. La dinamica si ripete anche al liceo, dove non mancano le soddisfazioni.

In questo periodo adolescenziale si nota il continuo avvicinamento di Emer verso Dio. La sera si reca in duomo con il breviario in mano, si fa più riservato, ma non nasconde la sua dolcezza e il suo affetto. Conosce la comunità monastica dei “Figli di Dio”, dove nel 1991 viene portato a visitare la casa madre a Settignano dove poi entra nell’aspirantato della comunità iniziando successivamente un cammino di formazione spirituale più specifica a Modena. Al suo rientro la madre lo descrive così: “Emer è trasformato dopo Settignano: al suo ritorno si è dimostrato immediatamente più disponibile e servizievole: va a prendere l’acqua in garage senza che glielo debba chiedere due volte, custodisce il cane… È mite, servizievole, molto sereno”.

Man mano che Emer diventa grande, cresce anche il suo carattere e la sua fede: è esigente. Sostenuto dall’amico Filippo, si confidano le difficoltà della vita quotidiana, in quanto provano entrambi disagio con i ragazzi della loro età trovandoli superficiali e insensibili a Dio.

Emer è ormai cambiato, si allontana sempre più dai suoi amici: sceglie di vivere “cose buone e serie”. Molti dei suoi atteggiamenti mostrano “purezza”, la sua preghiera si intensifica e decide di andare a Messa tutti i giorni e, quando riesce, recita tutte le sere con Filippo i Vespri.

Inizia a dialogare con Don Serafino, il quale presto gli parla del tema della chiamata di Dio. Non viene mai esplicitata da Emer la chiamata al dono totale, ma alcuni dei suoi atteggiamenti e dichiarazioni mostrano una tale inclinazione.

Nell’agosto 1991 subisce un incidente stradale: viene travolto da un motociclista ad alta velocità mentre è su un vecchio motorino del nonno. Il suo unico pensiero in quella situazione è la preoccupazione del dispiacere che avrebbe procurato ai suoi genitori. Dopo una lunga convalescenza si riprende completamente.

Guarito dalle ferite dell’incidente, Emer accusa un dolore alla testa, nella zona frontale. Inizia delle cure per una presunta sinusite, però, non ottenendo nessun effetto si sottopone poi ad una visita più accurata.

In quell’attesa continua a frequentare la comunità. Durante una catechesi Emer è costretto a tenere lo sguardo verso il basso per il forte dolore alla testa e la continua lacrimazione di un occhio, il padre gli chiede se gli è piaciuto, lui sa già le cose udite, aggiunge poi “Dio c’è”.

A metà febbraio del 1992 esegue TAC e RMN, alcuni colleghi del padre lo mettono in contatto con uno dei migliori chirurghi maxillo-facciale di Parma dove viene ricoverato per iniziare gli accertamenti. Consegnano al padre la diagnosi di neoplasia maligna, una forma rara ed estremamente aggressiva.

Prima di iniziare i cicli di chemioterapie, Emer chiede di ricevere l’unzione con l’olio degli infermi. La cosa che più stupisce è il fatto che non vuole sapere nulla della sua malattia, si affida completamente ai suoi genitori e alle loro scelte.

Una sera il dolore alla testa è così forte da invalidarlo in tutto, pure nelle relazioni, così il padre, d’impulso, gli mette la mano sulla testa. Con quel gesto all’inizio gli provoca un grande dolore ma, dopo dieci minuti, il figlio è tramortito, viene accompagnato sul divano e poi sul letto dove dorme per due giorni e mezzo. Si risveglia senza dolore e ricomincia a mangiare.

Verso la fine di marzo le chemioterapie debilitano molto Emer, ma lui decide di continuare ad andare a scuola e affrontare interrogazioni e compiti per non compromettere l’anno. Un giorno a scuola si accorge di essere cieco da un occhio e dopo una visita emerge che è un effetto collaterale dei farmaci: ricomincia subito a studiare.

Il tumore avanza, raggiunge il cervello e i nervi ottici. Emer è cieco da un occhio e l’altro è spinto fuori dall’orbita. Ciò non gli impedisce di fare un compito di greco raggiungendo un ottimo risultato.

Riceve per la seconda volta l’unzione degli infermi e il Martedì Santo viene ricoverato per eseguire l’intervento. Quel giorno dice al padre di non vederci e gli confida di non farcela più.

Il Giovedì Santo, nella notte, pronuncia con pacata dolcezza: “Gesù, Gesù”, poi si rannicchia nel letto come i bambini nel ventre materno. Quel giorno è sottoposto all’intervento che va meglio di quanto pensano: i medici rimuovono tutta la massa, rimangono solo dei piccoli residui da irradiare molto presto.

Il giorno seguente Emer diventa maggiorenne, ma è così debilitato dall’intervento e dall’anestesia che passa la giornata dormendo. Il Sabato Santo va in coma per un’eccessiva perdita di liquido cerebrospinale dal drenaggio ma, il giorno dopo, Pasqua, si sveglia, parla bene e chiede di alzarsi.

Il 24 aprile si consacra a Dio all’ospedale di Parma. Lo stesso giorno a Brescia gli viene data una risposta negativa sulla sua possibilità di recupero, i medici rifiutano di fargli la radioterapia perché il caso è irrecuperabile. Dopo tutti quegli avvenimenti viene don Serafino nella sua stanza d’ospedale per recitare la Santa Messa, e prima di ricevere la Comunione Emer esprime a voce alta la sua donazione: “Oggi io, Emer, alla presenza di Dio Onnipotente, della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi, alla presenza di voi, padre, e di voi fratelli intendo donarmi e consacrarmi totalmente e per sempre a servizio e lode del Verbo di Dio incarnato per nostro amore, nella Comunità dei figli di Dio”. “A servizio e lode del Verbo di Dio…”.

Dopo quel momento la vita di Emer cambia: “è come se entrasse in uno stato di abbandono, di fiducia, di pace, sembra che aspetti la morte o, meglio, l’adempimento di ciò che ha promesso”.

Nei giorni successivi i genitori decidono di portare Emer a casa a morire dove in realtà rimane pochi giorni per tornare successivamente in ospedale. È sempre lucido. Le sue condizioni cliniche e fisiche peggiorano: il tumore esplode con recidive al cervello, nell’orbita sinistra e nella guancia sinistra. Sta a letto sdraiato, mangia solo gelato. Sta in silenzio, ma la sua vita interiore non è di certo ferma. “Emer colpisce per la straordinaria serenità con cui soffre”.

Verso il 22 maggio inizia “l’epilogo dell’agonia di Emer”: inizia a sanguinare, viene continuamente ripulito, fasciato, tamponato ma nulla blocca l’emorragia.

Emer muore il 31 maggio, solennità dell’Ascensione di Cristo. Prima di salire al Cielo riceve per la terza volta il sacramento dell’unzione degli infermi. “Ho sete” sono le sue ultime parole, come Gesù. Alle 14.15, durante il suo abbandono, i monaci della Casa S. Sergio cantano l’antifona dei salmi dell’ora nona: “Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.

(fonte: https://rosarioonline.altervista.org/libri/GiovaniSanti/index.php?santo=EmerMezzanotte)

CHIARA MARIA BRUNO: IL SORRISO VERSO DIO

In tale silenzio è possibile discernere, alla luce dello Spirito, le vie di santità che il Signore ci propone. Diversamente, tutte le nostre decisioni potranno essere soltanto “decorazioni” che, invece di esaltare il Vangelo nella nostra vita, lo ricopriranno e lo soffocheranno. Per ogni discepolo è indispensabile stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui, imparare sempre. Se non ascoltiamo, tutte le nostre parole saranno unicamente rumori che non servono a niente.

(Papa Francesco, GE 150)

 
Nel 1991 nasce Chiara Maria Bruno, una bambina solare, con tanti amici tra scuola, pallavolo e parrocchia.

All’età di 19 anni, nel 2010, nota sulla cute del suo corpo alcune macchie. Da lì si attiva per eseguire visite mediche alle quali non viene data diagnosi se non stress e forme allergiche.

Dopo cinque anni arriva la diagnosi: linfoma di non-Hodgkin di tipo T cutaneo. La cosa che più stupisce è il fatto che questa malattia solitamente colpisce gli uomini adulti. Tale malattia, durante la sua evoluzione, converte le macchie in dolorose lesioni cutanee.

Chiara, nonostante le difficoltà, non si arrende e decide di affrontare la malattia con coraggio e determinazione, arrivando a svolgere cicli di chemioterapia.

Durante il periodo delle cure si iscrive alla Facoltà di Chimica e Tecnologia Farmacologica e continua a frequentare la sua comunità parrocchiale non sottraendosi mai alle richieste di aiuto di persone bisognose.

Chiara non si chiede mai il motivo della sua malattia e sofferenza e sceglie di entrare sempre nella volontà del Signore senza riserve: “Perciò prego Dio che mi doni la costanza nella preghiera quotidiana, che mi doni la fede ogni giorno, e che mi doni la forza di combattere la malattia sempre rispettando la Sua volontà”.

Inizialmente sembra che le cure stiano funzionando e si accende anche la speranza della possibilità di un trapianto di midollo osseo dalla sorella compatibile, attuabile solo con la completa remissione della malattia.

I desideri di Chiara sono molti, primo fra tutti formare una famiglia con il suo fidanzato Stefano. La possibilità però di fare figli diventa complessa in vista del trapianto, esso infatti l’avrebbe resa sterile. Decidono così di conservare la sua fonte di vita.

Il 5 marzo 2016, in seguito ad una crisi epilettica, viene ricoverata in oncoematologia a Tor Vergata e le viene comunicato che il tumore è arrivato al cervello.

Quel reparto diventa il luogo della sua Passione che la conduce a Gesù e la sala d’aspetto – viene riportato in varie testimonianze – “divenne il centro del mondo dove la Shekhinah di Dio scese su tutti coloro che erano attirati irrimediabilmente lì”. In tutti i luoghi dell’ospedale è incessante la preghiera rivolta verso Dio.

Chiara in quei giorni è Luce per chi la incontra e il suo fidanzato, guidato dalla Grazia, le porta conforto, sorriso e forza.

Chiara esprime il desiderio di ricevere ogni giorno l’Eucarestia e nonostante le difficoltà nella deglutizione riesce sempre a realizzarlo.

Nell’attesa dell’arrivo della Pasqua 2016, il presbitero della sua parrocchia le chiede di scrivere delle riflessioni sulle letture della Veglia. Desidera tanto partecipare, ma date le sue condizioni cliniche non ci riesce.

Chiara Maria muore il 23 aprile 2016, poco prima scrive: “Quando ti ammali di una malattia seria, è inevitabile che il pensiero vada anche alla morte. Una delle mie più grandi paure, non è tanto quella di morire, ma è quella di morire lontana da Cristo”.

(fonte: http://secretariat.synod.va/content/synod2018/it/giovani-testimoni/chiara-maria-bruno-una-ragazza-solare.html)

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Guarda la testimonianza del padre e del fidanzato di Chiara Maria a Bel tempo si spera.

PIERANGELO CAPUZZIMATI: L’AMICO DI GESÙ

Infine, malgrado sembri ovvio, ricordiamo che la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. Il santo è una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. È uno che non sopporta di soffocare nell’immanenza chiusa di questo mondo, e in mezzo ai suoi sforzi e al suo donarsi sospira per Dio, esce da sé nella lode e allarga i propri confini nella contemplazione del Signore. Non credo nella santità senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi momenti o di sentimenti intensi.

(Papa Francesco, GE 147)

 
Pierangelo Capuzzimati nasce a Taranto il 28 giugno 1990. Primo di due figli, appare un bambino come tanti, anche se si distingue già da piccolo dai suoi coetanei per la profondità dello “sguardo e la serietà dei ragionamenti”. Fratello maggiore di Sara diventa un grande punto di riferimento per lei.

Sin dalla tenera età coltiva un grande amore per la lettura e la scrittura. I genitori raccontano che alle scuole medie Pierangelo scrive un tema intitolato “i sogni nel cassetto”, nel quale parla di vari progetti che ha per il futuro. Si avvicina così anche al mondo della recitazione.

Nel 2004, un anno dopo aver ricevuto la Santa Cresima, gli viene diagnosticata la leucemia. Il suo quarto anno ginnasio lo passa alternando ricoveri ospedalieri e lunghe degenze a casa. Grazie all’aiuto di un insegnante di latino e greco impara queste materie nuove ottenendo ottimi risultati e lasciando senza parole tutti i docenti durante i periodi in cui riesce a frequentare le lezioni.

Tutti notano il suo talento, cresciuto grazie alle letture sempre più impegnative che lo accompagnano durante le lunghissime giornate di convalescenza. Affascinato in particolare dalla filosofia, si immerge in varie letture, in particolare negli scritti di Sant’Agostino e nella storia della Chiesa.

Nell’estate 2005 si sottopone al trapianto del midollo osseo che sembra riuscire bene, ma non riesce a frequentare l’anno successivo a scuola visti i lunghi periodi di recupero. Nella primavera del 2006 sostiene gli esami per essere ammesso al primo anno liceo classico che supera con ottimi risultati raggiungendo la media del nove.

Nell’agosto 2007 si sottopone al secondo trapianto di midollo seguendo gli stessi protocolli di quello precedente: rimanendo a casa da scuola e studiando in autonomia, sorprendendo tutti ancora una volta con gli esiti raggiunti.

Durante gli anni della malattia, ogni volta che i medici gli danno il permesso, organizza dei viaggi con la famiglia facendo da guida e creando lui stesso gli itinerari. Coltiva così la sua passione per la fotografia.

In una testimonianza, sua cugina Clarissa racconta come, stando con Pierangelo, abbia sottostimato la gravità della malattia: il cugino infatti non mostra mai la propria sofferenza e il proprio dolore e spesso le dà una mano nello studio del greco e del latino senza esitare.

Grazie alla malattia, il soffio dello Spirito fa nascere in Pierangelo una grande fede. Da subito, infatti, si abbandona al suo “amico Gesù”, avvicinando sempre più alla fede tutti coloro che gli stanno attorno, genitori compresi. Viene infatti poi definito “padre” dai propri genitori. Coglie la malattia come dono.

Riceve l’Unzione degli Infermi da solo, ritenendo i genitori non pronti a quel momento e lasciandoli in una “bolla spirituale”, consapevole che la loro fede sarebbe maturata successivamente. Il 30 aprile 2008, poco prima del suo diciottesimo compleanno, nasce al Cielo.

La sua beatificazione è definita dal padre come il “compimento di quanto era accaduto negli ultimi giorni della vita terrena di nostro figlio”. Racconta infatti in una testimonianza che il 25 aprile di quell’anno, mentre guardano le immagini dell’esposizione del corpo di Padre Pio alla televisione, trova la forza di parlare a Pierangelo e di dirgli che cosa sta per accadere, andando contro ciò che gli consigliano i medici che non lo ritengono pronto. Pierangelo ancora una volta stupisce il padre con la sua reazione, gli parla di quanto sia importante per i cristiani il culto della preservazione del corpo dopo la morte; per questo, assieme alla moglie, decide di non cremarlo. Per il padre, in quel momento, inizia “una nuova vita”: si pone moltissime domande, ma decide di fidarsi del figlio quando dice che “i progetti del Signore sono insondabili per la mente umana, difficili da comprendere per una mente così piccola e limitata ma vanno interpretati con gli occhi della fede”.

(fonti: https://www.pierangelocapuzzimati.it/ e https://www.youtube.com/watch?v=-LUnGIqarEw)

CATERINA MORELLI: IL POTERE DELLA GRAZIA

Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che il dono della grazia supera la capacità dell’intelligenza e le forze della volontà dell’uomo e che nei confronti di Dio in senso strettamente giuridico non c’è merito da parte dell’uomo. Tra Lui e noi la disuguaglianza è smisurata.

(Papa Francesco, GE 54)

 
Caterina Morelli nasce il 16 giugno 1981 a Firenze e fin dalla giovane età fa parte del movimento di Comunione e Liberazione.

Durante il periodo degli studi in medicina, incontra Jonata, venuto a riparare un guasto a casa sua. Appena lui la vede se ne innamora subito, però Caterina, pochi giorni dopo, parte per un progetto in Africa di quattro mesi, ma appena torna gli chiede di uscire per pagare il lavoro svolto. Da lì iniziano ad uscire insieme, ma la storia si fa travagliata sin dall’inizio visto che, dopo soli due mesi che si frequentano, lei prende la meningite e viene ricoverata per un mese.

In quella circostanza lei gli chiede di accompagnarla a Lourdes. Lui rimane spiazzato perché si definisce “credente virtualmente”, afferma infatti che va a messa solo a Natale e Pasqua. Il viaggio è per chiedere una grazia per una ragazza che vive con lei, così nel 2009 lui parte con Caterina e le sue coinquiline e vanno a Lourdes.

Jonata si mette in gioco e dopo aver recitato il Santo Rosario con Caterina lei gli suggerisce di chiedere qualcosa alla Madonna. Lui chiede la guarigione della ragazza e un segno sulla sua relazione con Caterina.

Appena tornati dal viaggio lei scopre di essere incinta. Questa notizia sconvolge la vita di Caterina, subisce infatti molte critiche dalle persone attorno a lei, ma Jonata decide di mettersi in gioco e di terminare la loro casa in attesa di dare alla luce Gaia.

Il giorno del compleanno di Caterina, nel 2012, i due si sposano e pochi giorni dopo il matrimonio lei scopre di essere incinta del secondo figlio. Dopo questa gioiosa notizia, lo stesso giorno scopre di avere un tumore al seno in una forma molto estesa ed aggressiva.

Le viene proposta subito un’interruzione della gravidanza per poter fare le cure previste, ma lei rifiuta e trova un’equipe di medici a Milano che le consentono di procedere con le cure mantenendo la vita nel suo grembo.

Dopo circa un anno di cure, nel 2013 nasce Giacomo e Caterina viene definita guarita.

Nel 2015 però si trova con nuove metastasi al fegato, le quali rendono impossibile l’approccio chirurgico. Caterina si affida così alla chemioterapia.

Le terapie sono davvero pesanti, ma lei non cede e varie volte organizza con il marito pellegrinaggi a Lourdes e a Medjugorje per pregare per la sua salute e per quella di tanti altri. Questi viaggi diventano occasione di incontro con molti ammalati e le loro famiglie. Caterina rimane per molti un esempio da seguire: affronta la malattia affidandosi totalmente alla Madonna, “con letizia e certezza del bene dell’Amore di Dio”.

“Alla nostra famiglia il Signore sta chiedendo tanto, perchè la malattia sta un pò stringendo…non voglio nascondere nulla, l’ultimo periodo, ma l’ultima settimana soprattutto, a me sta veramente insegnando tanto, perchè senza fare sconti quello che ti trovi a vivere in un momento, quando il giorno prima magari hai, come dire, tutto chiaro, il giorno dopo ti trova con addosso l’unica cosa che è veramente tua, che è la tua miseria! Basta una notizia che destabilizza un po’ o che ti fa capire che quel momento, così tanto temuto è iniziato, che tutto ciò che prima potevi pensare di aver messo nel tuo bagaglio come “cosa imparata” o come “cosa saputa”, in un istante crolla. Per me questi ultimi giorni è stato proprio così, di fronte alla malattia che stava stringendo, da un giorno all’altro mi sono trovata ad essere salda nella fede e nel tutto, ad essere la più misera di tutti, ma è proprio lì che ti accorgi veramente che tutto quello che ti viene dato è una grazia, che tutto è regalato…Dio ci regala tutto in ogni istante!”

Nasce, tramite gruppi WhatsApp, una comunicazione del suo modo di vivere e Caterina continua ad incontrare persone che grazie a lei e al marito si riavvicinano alla chiesa.

Nel 2018 la malattia peggiora drasticamente, invade infatti anche il cervello con varie metastasi. Cosciente di ciò che le sta accadendo decide di anticipare la Prima Comunione della primogenita per vivere i giorni di festa in famiglia.

Il clima di festa rimane anche quando la situazione peggiora e il 7 febbraio Caterina entra in uno stato comatoso, tutti si riuniscono attorno a lei per pregare e cantare. La sua casa diventa meta di pellegrinaggio di molte persone.

Il giorno seguente muore e i funerali si svolgono il 9 febbraio nella Basilica della Santissima Annunziata a Firenze.

(fonte: https://www.caterinamorelli.org/it/)

MARCOS POU: IL CHIAMATO DA DIO

[…] La vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa o in qualunque altra, è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani. Questo capitava nella comunità santa che formarono Gesù, Maria e Giuseppe, dove si è rispecchiata in modo paradigmatico la bellezza della comunione trinitaria. Ed è anche ciò che succedeva nella vita comunitaria che Gesù condusse con i suoi discepoli e con la gente semplice del popolo.

(Papa Francesco, GE 143)

 
Marcos Pou nasce il 20 settembre 1991 a Barcellona. Figlio di due genitori cattolici è il secondo figlio di sei.

Sin da piccolo frequenta ambienti cattolici. Alla tenera età di 12 anni esprime il desiderio di diventare sacerdote ma “senza sapere perché”.

Nel tempo perde questo desiderio verso la consacrazione ed aumenta l’inquietudine. Inizia a perdere l’interesse per la messa e Dio, per qualche tempo infatti la vita si “riduce al calcio e alle ragazze” con cui il rapporto rimane sempre ambiguo. Un pomeriggio va a trovare una ragazza con cui ha avuto una storia, esce da casa di lei, si gira per salutarla e la porta è già chiusa. “Lì ho avuto un’intuizione: no, io non sono fatto per trattare così e per essere trattato così”. Nonostante la delusione non smette di credere che ci sia qualcosa di più grande, per questo si ferma spesso davanti al silenzio del mare o ad un tramonto, ammirando sempre le meraviglie del creato.

La sua fede aumenta sempre di più e da collegiale inizia a frequentare il movimento di “comunione e liberazione” accompagnato da un gruppo di professori. Prova molta stima e ammirazione nei loro confronti, affascinato dalla passione che hanno per la vita, per ciò che spiegano e dall’amicizia che hanno tra loro, decide di passare con loro anche il tempo libero, partecipando quindi alle gite e alle catechesi che organizzano con il movimento.

Del movimento, infatti, rimane colpito dal fatto che “la persona umana è stata creata con un cuore che anela al bene, alla bellezza e alla verità, e che solo Cristo è capace di rispondere a questi desideri dell’uomo”.

La madre racconta che a sedici anni hanno visto qualcosa in lui del quale erano convinti non avergli trasmesso, era “una gioia strana, la gioia piena della fede”. Lei, infatti, si definisce cristiana in ricerca; dice ancora: “non riuscivamo mai ad essere all’altezza del Dio che conoscevamo”. Per questo anche i genitori iniziano un cammino nel movimento. Negli scritti ritrovati, Marcos definisce questo come “uno dei doni più grandi di Dio” il poter fare questa strada insieme a loro.

Terminato il liceo si iscrive alla facoltà di fisica meravigliato dalle stelle e dall’universo che lasciano traccia del Creatore, ancora una volta compare la domanda vocazionale che però poi si affievolisce. Anche in quell’ambiente si radicalizza con gli amici di CL promuovendo convegni per studenti.

A Madrid si innamora di una ragazza, “il cuore più bello che io abbia incontrato”. Il loro rapporto si definisce immerso in un desiderio di eternità, però con grande fatica decide di lasciarla perché sente che il Signore gli sta chiedendo altro.

A 20 anni svolge la prima attività di volontariato missionaria a Calcutta, dove il suo cammino di fede inizia a farsi sempre più profondo. Al ritorno partecipa alla GMG di Madrid e inizia un cammino di discernimento vocazionale per una possibile vocazione al sacerdozio.

Si dedica sempre alla parrocchia, ai bisognosi e all’università. Ogni venerdì pomeriggio dopo le lezioni partecipa all’adorazione eucaristica invitando amici e familiari. Si interessa sempre a tutti e vuole donarsi, un amico infatti racconta che “se non usava bene il tempo, aveva dolore”, per questo lava i piatti in casa o passa i giorni in un lebbrosario in India: il valore per lui è identico.

L’11 febbraio 2015 entra nel seminario Conciliare di Barcellona, pochi istanti prima della partenza i genitori gli scrivono un messaggio “adelante Marcos, siempre!” perché lo strappo è grande, ma la promessa del Signore infinita.

10 giorni dopo muore in un incidente stradale su uno scooter. La madre racconta che la notte in cui è morto ha dialogato con Dio dicendo: “Sì, Signore, sì a tutto”. La morte di Marcos viene definita dal padre come “una vocazione, un regalo doloroso, ma un regalo. Non è possibile non vedere quello che sta fiorendo intorno a noi”.

Il 22 febbraio di quello stesso anno il corpo di Marcos viene depositato con il cero nella cappella dei martiri del seminario dove vengono svolte le cerimonie funebri.

Marcos è sepolto al cimitero San Gervasio dove, ancora oggi, molti vengono ad affidarsi alla sua intercessione.

Nell’ultima testimonianza fatta ad un gruppo di giovani dice: “Dio è capace di metterti una cosa nel cuore e di permettere che tu viva come se non l’avesse messa. Dio non forza mai. Fa solo una proposta. Poi ci sono le conseguenze dell’assecondarla o no ma questo è un altro tema…”.

(fonti: https://www.marcospou.com/quien-es-marcos-pou/,
https://it.clonline.org/storie/mondo/2016/07/01/s%C3%AC-a-tutto)

PAOLA ADAMO: LA GIOVANE ARTISTA

La santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due. Così lo rispecchiano alcune comunità sante. In varie occasioni la Chiesa ha canonizzato intere comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la vita di tutti i loro membri […]. Vivere e lavorare con altri è senza dubbio una via di crescita spirituale. San Giovanni della Croce diceva a un discepolo: stai vivendo con altri «perché ti lavorino e ti esercitino nella virtù».

(Papa Francesco, GE 141)

 
Paola Adamo nasce il 24 ottobre 1963 a Napoli e proprio quel giorno viene battezzata. I suoi genitori, entrambi architetti, immersi nelle realtà salesiane sono i suoi catechisti che l’accompagnano e la preparano alla prima comunione e alla cresima che riceve solo due anni dopo.

Ragazza molto attiva, fa danza classica, nuoto e suona la chitarra. Diventa modello per la santità vissuta nel quotidiano. Lei dona amore a tutte le persone che le stanno intorno, soprattutto ai più bisognosi.

All’età di 9 anni inizia a tenere un diario, nel quale si intuisce già dalla sua giovane età il desidero di conoscere sempre di più Dio e di fare la sua volontà:

“Se Dio è la sorgente di tutte le cose, solo Lui ci potrà fare davvero felici!”.

“L’uomo deve fare solo ciò che può fare e non ciò che vuole fare, altrimenti diventa solo causa di disastri”.

“Se credi in Dio, hai il mondo in pugno”.

Ogni sera legge la biografia di San Giovanni Bosco e fa l’esame di coscienza con molta attenzione, molto pentita “delle ore sfuggite così stupidamente” e si trova spesso con gli occhi pieni di lacrime.

Durante la preparazione alla cresima, all’età di quasi undici anni le viene posta una domanda: “Che cosa pensi della morte?” “Penso che è una cosa terribile, ma basta pensare a Dio, basta pensare che un giorno risusciteremo e che avremo la vita eterna, non si ha più paura della morte”.

Frequenta il liceo artistico a Taranto legando maggiormente le ragazze emarginate dal resto della classe, che contagia con la sua gioia di vivere.

Salda nei suoi principi, cerca di vivere da creatura “vera” soprattutto nel quotidiano per rendere tutti gli ambienti che frequenta dei luoghi con “clima di gioia e di intensa unione fraterna”.

Una mattina, all’età di 15 anni lamenta un dolore al fianco destro, ma convinta dai genitori va comunque a scuola e affronta la sua giornata, perché come figlia di un docente non può dare il cattivo esempio. La sera di quel giorno però la situazione non migliora, anzi, le sale pure la febbre. Il giorno dopo parte ugualmente per Napoli per trascorrere le vacanze. Dopo un paio di settimane viene ricoverata in clinica dove le viene diagnosticata un’epatite virale, malattia già incontrata in tenera età.

Durante l’ultimo viaggio per l’ospedale di Napoli è molto preoccupata: “Papà, perché siamo a Napoli? Papà, cosa ho di grave? Papà, ma quando guarirò? Ma guarirò? Papà aiutami!”.

Riceve l’unzione degli infermi, il padre cerca di consolarla ma lei sa che non c’è più niente da fare.

Dopo qualche giorno, muore. Ai suoi genitori viene annunciato: “Paola non soffre più, è in pace. Da Dio”.

(fonti: https://www.rosarioonline.altervista.org, https://www.paolaadamo.it/, https://www.santiebeati.it/)