Santi

«Rallegratevi ed esultate» (Mt 5,12), dice Gesù a coloro che sono perseguitati o umiliati per causa sua. Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. (dall’esortazione apostolica “Gaudete et Exultate” di Papa Francesco)

In questa pagina troverai le storie di alcuni giovani che non hanno avuto paura di puntare in alto e che vogliono dire anche a te, oggi, che la santità è davvero possibile.


NINNI DI LEO: LA PASSIONE PER GLI AMICI

I santi “ordinari”, spesso sconosciuti e ignorati, sono la quasi totalità dei cristiani. Sono coloro che, nella vita di tutti i giorni, diventano testimoni visibili del mondo invisibile con la fedeltà al Vangelo. Essi non si separano dal mondo, ma vi si immergono allo scopo di santificarlo, di trasfigurarlo, di elevarlo e di ricondurlo al Padre.

La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario

 

Ninni di Leo nasce a Palermo il 4 aprile 1957. Fratello maggiore di Sergio e Valeria già dalla tenera età si trova ad aiutare la mamma ad educarli e standole accanto visto che il padre li lascia.

Trascorsa l’infanzia, a dodici anni inizia a frequentare un oratorio salesiano dove si forma con il loro carisma. Ama pregare in compagnia e lo spiega sempre con una frase del Vangelo di Matteo “dove due o più persone sono unite nel mio nome, io sono sempre presente in mezzo a loro”

Tutte le domeniche è puntuale a Messa, dove coglie la bellezza della comunione frequente ma non giornaliera per non farla diventare un’abitudine con il rischio di perderne la bellezza dell’incontro unico con Gesù. I pomeriggi invece si dedica all’ascolto delle radiocronache del campionato di calcio, il suo tifo è per l’Inter.

Adora ascoltare la musica e ballare i successi di quei giorni, tanto che con i suoi risparmi compra uno stereo. Tra queste sue passioni ci sono il calcio, la pallacanestro, la lettura e la geografia. Dedica il suo tempo anche alla lettura delle vite di San Giovanni Bosco e San Domenico Savio, è molto attratto dalle storie delle loro vite.

Sin da giovane mostra il suo spirito altruista, il suo sguardo è rivolto sempre all’altro. Un esempio è la giornata di quiz di cultura generale: alla classifica finale arriva secondo, il primo infatti è un suo compagno di classe. Ninni è davvero contento perché l’amico oltre a studiare lavora con il padre nel panificio, quindi, ha meno tempo per studiare e Ninni lo fa notare a tutti per esaltarne il successo.

Nell’estate del 1973, a sedici anni viene rimandato in una materia a scuola, deve recuperarla a settembre. A luglio però subisce una improvvisa crisi di mal di testa con vomito e viso bluastro. Si reca subito in pronto soccorso dove gli viene diagnosticata la leucemia.

Da un giorno all’altro la vita di Ninni viene stravolta, dove però non si fa abbattere dalla sofferenza, ha sempre per tutti, malati e sanitari, un sorriso e una parola di conforto.

Dopo poco si trasferisce con la mamma a Parigi in un centro specializzato per la cura della leucemia. Incontra tanti ragazzi e giovani affetti dalla stessa malattia, dove, con un po’ di fatica con la lingua, riesce a creare forti legami con loro. Grazie a questi ragazzi trova conforto e svago, ricambiando sempre con il suo splendido sorriso.

La preghiera rimane il suo porto fisso assieme alla madre. Trova rifugio in un ambiente dove molti sono atei.

Dopo le cure farmacologiche la sua terapia viene cambiata, deve ciclicamente recarsi in una camera sterile e starci per giorni isolato. Quella terapia è estremamente destabilizzante.

Quei giorni sono davvero faticosi per Ninni. La sofferenza è tanta. Un giorno il primario vedendolo soffrire gli dice:

Sfogati, dì le parolacce! Possibile che non ti ribelli mai? Che cosa hai fatto tu a Dio?

E Ninni senza esitare risponde:

Ma cosa c’entra Dio? Il Signore non ha forse sofferto tanto per noi? E poi a dire le parolacce non c’è alcun piacere, uscirebbero sterilizzate dalla camera sterile.

Durante la degenza in ospedale legge anche agli altri ragazzi la vita di San Domenico Savio.

Dopo le sofferenze per le cure inutili madre e figlio decidono di tornare a casa. Ninni riprende così un po’ di quotidianità. Viene anche organizzata una festa in suo onore dove balla con tanta energia.

Il 23 gennaio nasce al cielo, trova sollievo a tutte le sofferenze provate sulla terra.

 

https://www.santiebeati.it/dettaglio/92261

GIORGIA SAULEA LIUZZI: L’AMORE NEL DONARSI

Giorgia Saulea nasce il 20 aprile 1989 in Romania. Da giovane si trasferisce in Italia nella provincia di Milano dove, cliente abituale di una pizzeria d’asporto, conosce Michele Liuzzi, proprietario e pizzaiolo.

I due iniziano a frequentarsi: Michele è da subito colpito dalla sua delicatezza e purezza d’animo. Vede che in lei c’è qualcosa di diverso, dimostra l’amore nel ricevere ma nel dare.  

Giorgia è ortodossa non praticante e Michele cattolico. La profonda fede di Michele la porta a convertirsi, rafforzando maggiormente il loro legame.

I due si fidanzano e decidono di sposarsi il 31 maggio 2015. Il matrimonio li unisce in Cristo e fondano il loro amore in lui, sulla preghiera e sulla fiducia in Dio.

Giorgia soffre di una grave allergia al lattosio che già da giovane le causa frequenti episodi di vomito.

Dopo qualche anno di matrimonio Giorgia rimane incinta di Leonardo. La gravidanza però risulta a rischio perché lei è affetta da una condizione che le provoca costantemente nausea e vomito. Per questo deve essere ricoverata in ospedale, la sua vita e quella del bambino sono a rischio. La degenza è complessa e faticosa ma i due sposi ripongono ancora la loro fiducia in Dio e fanno una promessa:

Signore, se ci permetti di far nascere nostro figlio, ti doniamo la nostra vita per testimoniare cosa significa essere una famiglia cristiana.

La gravidanza viene portata a termine e il 19 settembre 2017 viene alla luce Leonardo.

I problemi di salute di Giorgia però persistono: le vengono infatti diagnosticate delle infezioni batteriche estremamente aggressive. Riceve così cure mediche continue senza però trovare sollievo dalla sofferenza se non nella preghiera e nella forza della famiglia:

Mi sento realizzata…Ho sposato l’uomo che amo e ho messo al mondo un bambino meraviglioso!

Ogni volta che preghiamo il Santo Rosario sento tanta pace e serenità nel cuore, al punto da commuovermi per l’emozione, nonostante questa malattia.

La convalescenza continua e sembrano esserci dei miglioramenti, ma nel 2019 ad ottobre le sue condizioni fisiche peggiorano improvvisamente. Giorgia inizia a vomitare sangue e le viene diagnosticato un cancro già con metastasi, dunque molto aggressivo, avanzato e inoperabile: sa che le rimane poco tempo da vivere.

La notizia non la fa cadere nella disperazione, Giorgia non si lamenta mai dei dolori atroci che prova, recita il Santo Rosario ogni giorno, trova pace nella fede e dice al marito:

Non voglio combattere contro questa malattia, voglio accoglierla. Se Dio ha scelto questo per me, vuol dire che ha un piano.

Michele racconta che nella sua sofferenza è presente Dio, più il dolore aumenta più il suo volto si irradia di una luce particolare. Tutta la comunità si riunisce a pregare con lei e per lei. Il suo volto non è mai rivolto sulla sua fatica e su sé stessa ma verso il marito e Leonardo.

Una sera Giorgia e Michele decidono di offrire un rosario per tutte le persone che pregano per loro. Lei è senza voce, da giorni non parla, invece in quella circostanza le esce la voce. Da quel momento entra in coma donandosi a Dio per la salvezza dei fratelli.

Il 18 gennaio 2020, già in coma si volta di scatto e si mette tra le braccia di Michele che è appoggiato al suo letto a pregare, le dà un bacio e Giorgia nasce al Cielo, con il rosario tra le mani.

 

Michele scrive un libro per condividere la loro profonda testimonianza di amore:

La grazia del dolore. Dio costituisce una strada quando una strada non sembra esistere.

 

In una testimonianza di Michele racconta:

Fu un momento di gloria perché sapevo che era nella gioia. Alla camera ardente arrivarono centinaia di persone, gente che ci ringraziava per i cambiamenti e le conversioni seguite alla nostra storia: una donna che non pregava da 40 anni tornò alla fede. Le conversioni continuano fra le persone che leggono il libro. Questo è il vero senso di quanto vissuto. Abbiamo chiesto di essere suoi testimoni, questa era la sua via per noi, onorati che Dio ci abbia scelto.

 

Fonti:

https://www.santiebeati.it/dettaglio/99101
https://primalamartesana.it/    
https://it.aleteia.org/2020/01/23/giorgia-mamma-moglie-morta-tumore-30-anni-storia-amore-non-dolore

CLAUDIO CONTARIN: LUI, GLI AMICI E DIO

[…] e se Cristo è il salvatore, unico e insostituibile, tutta la storia umana diviene storia di salvezza, cioè un succedersi di avvenimenti che, nella mente di Dio, Creatore e Padre, sono ordinati a realizzare la salvezza di tutti e di ciascuno.

La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario

 

Claudio nasce a Bassano del Grappa il 28 settembre 1988. È il secondo di 5 fratelli. Cresce in una famiglia cristiana dove mamma e papà, Alberto e Alessandra, lo educano alla religione cattolica.

Gioca a calcio nella squadra del paese, è molto introverso ma ha molti amici, gli piace stare in compagnia, ama la discoteca e fare festa fino a tardi. Si diploma all’istituto tecnico e va a lavorare con il padre nel suo studio di fotografia.

 

Claudio però oltre alla vita sociale coltiva una vita interiore profondissima: “[…] faceva riflessioni come un teologo, e si rivolgeva a Gesù, alla Mamma e al Papà (del Cielo) con una naturalezza straordinaria. Tutto ciò che succedeva, le riflessioni, le preghiere, i ringraziamenti, gli aiuti…li raccoglieva tutti nel suo diario.”  

Una cosa curiosa è il modo con cui si firma nel diario:

Claudio e tutti noi.

 

Claudio nel diario racconta anche delle partite di calcio, delle vittorie e delle sconfitte:

Aiutami a non mollare. A far giocare la palla col cuore, a giocare a calcio come Te e con Te.

 

 

Claudio si distingue per il suo carattere mite e per il modo in cui vive la sua vita in maniera piena. Nel suo diario si trovano infatti delle scritte:

Essere un cristiano grintoso e gioioso! Così dimostreremo che crediamo realmente nella Tua enorme misericordia.

Claudio prega da solo, creando un rapporto unico e speciale con Gesù e con i genitori del cielo fino ad arrivare ad essere migliori amici. Prega per coloro che vivono sulla terra chiedendo l’intercessione dal cielo.

Papà Alberto racconta: «Sono entrato un giorno nella sua camera e l’ho visto in ginocchio a pregare, ma si è subito alzato, quasi dispiaciuto di essere stato scoperto».

 

Pregando conosce e parla anche con madre Teresa, si accorge concretamente di quanto fossero state difficili le vite dei lebbrosi, così soli. Scrive che ascoltando quei racconti gli viene voglia di raccogliere cappa e sandali e andare lì in mezzo a quelle persone, a provare come può dare loro un sorriso.

Claudio si entusiasma di fronte alla bellezza della natura, come dono del Signore:

Camminavo per la via. Ad un tratto una luce rossa come il tramonto illumina l’orizzonte. Ascolto il mio cuore: sensazioni vere, emozioni gioie e grinta di vivere. E lì, davanti a me, un cuore rosso che batte (…) Mi avvicinai ad esso e guardandolo bene vidi una corona di spine che tutto attorno lo perforava, ad ogni battito lo trafiggeva sempre di più. E Lui così soffriva.

 

Per Claudio ringraziare era una parte fondamentale della sua vita, lo faceva per tutto.

Una sera, a 19 anni, in macchina con gli amici fa un incidente stradale e sale al cielo. Claudio viene trovato con un rosario in tasca. Ci ha lasciato il suo diario pieno di vita, da prendere come esempio da imitare.

Come lui diceva:

…Da fuori, mostrare sempre un gran sorriso, grinta, voglia di vivere e aiutare gli altri!

 

 

Fonti:

https://www.focolaredellamadre.org/it/rivista-hm/articoli/santi/13802-claudio-contarin

https://youtu.be/VL0Z3v2yhDM

https://youtu.be/ij0-bawHhxo

MARIA GRAZIA BASILE: L’INSTANCABILE ANIMATRICE

Che cosa hanno fatto i santi per diventare tali? Semplicissimo: vivere l’istante presente come espressione della volontà di Dio, che si manifesta nelle mille circostanze che formano il tessuto normale della vita. Il santo è colui che tutto accetta con serenità, pensando e agendo con amore. E così facendo, riesce a rendere straordinarie le cose ordinarie della vita.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

Maria Grazia Basile nasce il 13 novembre 1988 a San Giovanni Rotondo nella provincia di Foggia. Vive in una famiglia semplice, trascorre l’infanzia serena con i suoi genitori, Vittoria e Nicola, e la sorella minore Giovanna, con la quale crea un legame profondo. Vive la sua quotidianità in maniera ordinaria come i coetanei, alternando la scuola alla parrocchia e amici.

Maria Grazia coltiva varie passioni, una in particolare è quella per il suo gruppo ACR (Azione Cattolica Ragazzi), di cui è una straordinaria educatrice presso la parrocchia di San Nicola di Mira e San Cirillo d’Alessandria in Carpino.

A soli 14 anni, il 23 dicembre 2002 inizia a soffrire di forti dolori, si reca così in pronto soccorso. Dopo qualche accertamento inizia ad intuire che si tratta di una malattia grave, rifiuta però il ricovero perché è animatrice e non vuole perdersi la venuta al mondo di Gesù con i suoi coetanei e animati. La malattia è importante e il suo decorso altalenante. Maria Grazia la accoglie “con grazia e dignità”, sorretta da profondi valori innati dentro di lei. La sua giovanile vitalità la sostiene nei momenti più difficili, insieme alla sua fede che le dona sempre forza, luce e speranza.

Le piace passare le giornate stando al servizio accanto ai più piccoli e ai sofferenti e mostra una vera passione verso l’insegnamento, in particolare frequenta il reparto di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, condividendo con i bambini ricoverati le lunghe degenze. Dopo aver conosciuto lo stile e la spiritualità di San Pio desidera diventare medico.

Nelle corsie dell’ospedale, Maria Grazia spicca come amica e animatrice instancabile, partecipando a numerose attività educative e di sostegno.

Chi la conosce la descrive come un’ape laboriosa, sempre intenta a produrre dolcezza e bene.

C’è una cosa però che le dà una luce particolare: è il suo profondo legame con Dio, che alimenta ogni suo gesto. Considera la preghiera una priorità assoluta, anche a scapito delle terapie necessarie.

La sua condizione si aggrava sempre più e Maria Grazia trova conforto e forza nella fede, affrontando le sue sofferenze con coraggio.

È disposta a sacrificare le cure per partecipare agli incontri di ACR o per restare lucida durante la preghiera. Con il suo esempio, trasmette agli altri l’importanza di vivere nella speranza, servendo la vita e coltivando la fiducia in un futuro pieno di significato.

Grazie al suo legame profondo con Dio, si impegna per far conoscere la Sua presenza viva a bambini e ragazzi, condividendo esperienze di Fede e promuovendo il messaggio sempre attuale del Vangelo. La sua testimonianza le permette di aumentare sempre più il suo rapporto con il Signore, tanto che viene definito confidenziale e dialoga con Lui come con un amico.

Il giorno di Natale del 2006, nel giorno in cui Dio si fa piccolo e uomo Maria Grazia sale al cielo.

 La sua vita, segnata da amore, dedizione e allegria, rimane un modello per tutti coloro che la seguono, dimostrando che la chiamata alla santità si realizza pienamente nella semplicità della vita ordinaria.

 

 

Fonti:

https://www.santiebeati.it/dettaglio/95129

https://www.facebook.com/watch/?v=655962429081062

MARCO SANTAMARIA: IL TOTALE ABBANDONO A DIO

SI, il mondo appartiene a Dio! A Lui appartengono l’universo e tutte le persone tutte, perché sia l’uno che le altre sono opera delle sue mani e tutto è stato creato per amore.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

Marco Santamaria nasce a Benevento il 13 giugno 1987. Già dalla tenera età si avvicina alla fede grazie ai genitori. Mamma Rita e papà Carmine sono infatti membri del cenacolo “Missione Immacolata Mediatrice” a Benevento, consacrati con “l’atto di consacrazione illimitata” e successivamente con il Voto Mariano. Anche Marco fa parte del cenacolo ed è consacrato alla MIM dei piccoli.

Non è mai assente alla Messa e ne diventa un vero esperto della liturgia, facendo da guida e maestro a tutti gli altri chierichetti. Da adolescente entra a far parte della Gioventù Francescana di Benevento dove inizia anche un cammino spirituale.

La sua fede cresce sempre più e diventa concreta nella sua vita quotidiana: è molto altruista e dimostra sempre amore verso Gesù. Lo sguardo di Marco è rivolto sempre “all’altro” e mai a sé stesso, soprattutto quando si relaziona con persone bisognose o ammalate. Per questo si iscrive assieme alla mamma all’Associazione Volontari Ospedalieri “distribuendo aiuto, sorrisi e coraggio agli ammalati”.

La solarità di Marco si nota anche nelle relazioni che vive: adora fare sport di squadra, ha tantissimi amici e tra questi trova anche una fidanzata con la quale condivide la fede.

Appassionato di calcio intraprende l’attività di giornalista sportivo: è il sogno della sua vita. Mentre il sogno si realizza, anche i colleghi che gli stanno attorno si accorgono del suo talento e della Luce che emana con la sua vita.

Durante la giovinezza di Marco avviene un cambiamento che segna in maniera indelebile la sua vita: la malattia e la successiva morte della mamma, alla quale il ragazzo è profondamente legato, grazie alla fede e agli ideali che condividevano: è un grande esempio di riferimento per lui. Marco riesce però a vivere questo dolore con Dio, rimanendo sereno nella fatica e si prendendosi cura del papà e della sorella minore.

Dopo un anno dalla nascita al Cielo della madre, Marco nota dei segni sul suo corpo. Ipotizza una diagnosi grazie a internet: tumore all’apparato genitale, ma decide di non dire nulla a nessuno.

Dopo un anno, a causa di dolori alla schiena, esegue una visita col padre, nel quale poi emerge la sua malattia e viene confermata la diagnosi. Come risposta alla domanda sul motivo per il quale tiene la malattia segreta, il ragazzo risponde che non vuole essere causa di nuove preoccupazioni e dolori in famiglia dopo la morte della madre.

Inizia quindi le cure e, nonostante tutte le sofferenze e i disagi, sul volto di Marco è sempre presente un sorriso. È abbandonato alla volontà di Dio. Per questo continua a lavorare e svolgere le sue attività, non si lamenta mai, ad eccezione di qualche volta con la fidanzata: “Marco arrivava a far sentire qualche suo lamento solo quando non ne poteva davvero più e umanamente aveva bisogno di essere sostenuto”.

La malattia evolve e lo stato di salute di Marco peggiora sempre di più. Tutti pregano per lui e per la sua guarigione ma egli è pronto ad accettare tutto. Una settimana prima della morte, l’arcivescovo (con il quale aveva un rapporto di paterna amicizia) gli dice di voler chiedere l’intercessione della prossima beata Teresa Manganiello, con la speranza che l’eventuale guarigione possa essere presentata come miracolo per la canonizzazione della Beata. Risponde Marco: “Non pregate per la mia guarigione, ma perché si compia in me la Volontà di Dio e per la grazia di una buona morte”.

Il 19 maggio recita questa preghiera da lui scritta:

Grazie, o Signore,
perché anche oggi mi hai chiamato
a partecipare al tuo sacrificio eucaristico.
Grazie, Signore Gesù,
per avermi invitato alla tua mensa eucaristica.
Grazie, Signore Gesù,
per questo grande, immenso dono d’amore
che ci hai lasciato
e perché continui
a sacrificarti per noi sull’altare.
Ti ringrazio e Ti prego per me
e per tutti quelli che ogni giorno ti ricevono
nella Santissima Eucarestia:
illuminaci con il tuo Spirito.
Fa’ che il tuo Spirito possa aprire
il nostro cuore, la nostra mente, il nostro intelletto
così che possiamo farti conoscere a chi non Ti ama,
Tu che sei un Dio buono che tutto dà
senza nulla chiedere.
Come già avvenuto, tutto Ti abbraccio.
Dammi il tuo santo Amore
e la perseveranza finale.

Il 20 maggio si compie la Volontà di Dio ed egli nasce al Cielo durante la recita di un Santo Rosario.

Fonte: http://www.marco-santamaria.it/index.php/

REBECCA COLOMBANO: UN CUORE CHE BATTE ETERNAMENTE

È una persona bella perché irradia quella purezza e quella luce che sono il riflesso dello splendore di Dio. […] È una persona bella perché la santità interiore si manifesta all’esterno rendendo bello il sorriso, vivo lo sguardo, dolce e carezzevole il viso, affascinante il modo di aprirsi con gli altri.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

 
Rebecca nasce il 12 gennaio 2010 dopo una gravidanza difficile e un parto molto complesso definito fin da subito “prodigioso”.

La piccola è solare e contagia tutti con il suo sorriso e lo “spirito vulcanico” come testimoniano le sue maestre dell’asilo: “Con i tuoi occhi grandi ed espressivi osservavi tutti e in particolare scrutavi noi insegnanti per capire se potessimo essere per te un punto di riferimento. Con il tuo viso bello e simpatico hai saputo infondere simpatia in tutti noi e farti proteggere e coccolare anche dai bambini poco più grandi di te”.

Il suo primo disegno è un cuore per mamma e uno per papà: “già allora ci stavi insegnando che nella vita non c’è nulla di più importante che l’amore e il saper amare!”.

A tre anni Rebecca impara il Padre Nostro. A messa, infatti, è sempre irrequieta ad eccezione del momento in cui si recita la preghiera: sale in braccio al papà per ripeterla insieme.

Mentre Rebecca cresce, aumenta anche la sua sensibilità, nella quale prova compassione per chiunque non sta bene. La madre riguardo questa attenzione verso i più deboli esprime al marito: “Speriamo che riesca poi a costruirsi anche una corazza per vivere con giusta attenzione questa sua sensibilità e così avere la forza di affrontare anche l’inevitabile ingratitudine che purtroppo incontrerà”.

Il 24 giugno 2013 accade un fatto particolare: Rebecca e la mamma devono svolgere alcune commissioni in macchina. Prima di essere allacciata al seggiolino in macchina abbraccia il papà con grande affetto e gli dà un bacio, ma dopo aver percorso pochi metri la macchina torna indietro perché la piccola insiste molto nel volerlo salutare nuovamente. Dopo qualche varie coccole col papà la macchina riparte e Rebecca dice alla madre: “Mamma, adesso io dormo, ma ricordati che saremo per sempre amiche!” e alza il pollice come fa solitamente con gli amici dell’asilo. La madre le risponde di dormire perché la strada sarebbe stata lunga. Dopo pochi chilometri, a causa di un grave incidente stradale, Rebecca subisce un grave trauma e dopo due giorni, mercoledì 26 giugno, sale al Cielo nel “posto preparato per lei nella Casa del Padre, da tutta l’eternità” (cfr Gv 14).

Nei giorni del ricovero in ospedale Rebecca dona il suo cuore, fegato e reni ad altri quattro bimbi. “Il chicco di grano non è caduto a terra invano, perché accettando di “morire” ha portato abbondante frutto” (cfr Gv 12,24-25).

(fonte: https://www.gruppomariaportadelcielo.it/i_nostri_angeli/Rebecca_Colombano/Rebecca_Colombano.html)

ANTONIO TERRANOVA: LA DEVOZIONE VERSO LA MADONNA

La necessità di un’intima comunione con Gesù è personalmente illustrata da Gesù stesso con le note similitudini della vite e del pane. […] «Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame, e chi crede in me non avrà più sete». La preghiera e i sacramenti creano questa comunione vitale fra Gesù e il singolo cristiano.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

 
Antonio Terranova nasce il 14 luglio 2004 a Palermo.

La famiglia non frequenta la Chiesa, ma da subito Gesù conquista il cuore di Antonio e lo plasma a sua immagine: da quando è piccolo mostra attenzione verso i più deboli, ad esempio si accerta che la mamma gli metta nello zaino qualche merendina in più per condividerla eventualmente con chi è senza oppure aiuta i compagni con maggiore difficoltà.

A sei anni, ammalato di tumore al fegato con cirrosi, necessita urgentemente di un trapianto. I medici inizialmente sono così sfiduciati che non vogliono metterlo in lista d’attesa e la famiglia da subito si attacca alla Croce del Signore pregando incessantemente giorno e notte.

Al centro trapianti imparano la preghiera della “Divina Misericordia” che ripetono ogni pomeriggio nella cappella dell’ospedale insieme al Santo Rosario. “Alla fine della preghiera Antonio si fermava, ci guardava tutti e diceva: “Avete dimenticato di dire una cosa importante “Gesù Confido in Te””.

Una mattina, straziato da prelievi, tac e visite, prende tra le mani la Croce di San Benedetto e stringendola forte a sé urla: “Gesù dove sei? Io ho sempre creduto in te, ma se ora tu non mi aiuti, io a te non ci credo più”.

Durante il ricovero, un giorno, arriva un fegato pediatrico compatibile per il trapianto, stupendo medici e infermieri. Sono tutti contenti, ma la madre soffre terribilmente perché quel giorno muore un bimbo di undici anni per aneurisma cerebrale per il quale non c’è stato il tempo di pregare.

Il trapianto è un successo, rimangono tutti increduli per la semplicità dell’intervento, ma pochi giorni dopo, alla tac di controllo, emerge che il tumore sta invadendo i polmoni, per questo Antonio inizia un ciclo di chemioterapia di 20 sedute.

Dopo quel ciclo di terapie sembra che la situazione migliori, invece all’improvviso sfugge tutto di mano e la malattia avanza molto velocemente. Nonostante tutto Antonio non si lamenta quasi mai e raramente si comporta come un bambino della sua età abbandonandosi ai pianti. Dà sempre coraggio alla famiglia dicendo: “Mamma perché ti disperi, devi stare tranquilla tanto la Madonnina mi ha detto che presto tutto finirà”, dice che la Madonnina non gli parla con la voce ma nel cuore.

Più passano i giorni e più aumenta la fede di Antonio, la madre infatti testimonia che il figlio “si chiedeva come fosse possibile che ci fosse gente che non credeva in Gesù, che lui invece sentiva così vicino. Un pomeriggio alle tre in punto, mentre stavamo recitando la Divina Misericordia in casa nostra, il mio sguardo e quello di Antonio si incrociarono l’uno verso l’altro, ed io un po’ spaventata, mi fermai chiedendogli cosa fosse successo. Lui mi rispose con voce incredula: “Mamma, zitta zitta, continua a pregare altrimenti se ne va’”. Continuammo a pregare e alla fine disse: “Mamma c’era la Madonnina e la vedevo attraverso i tuoi occhi, era venuta a benedirmi””.

A settembre 2012, a soli otto anni, dopo averla desiderata per moltissimo tempo, Antonio riceve l’Eucarestia per la prima volta.

Verso la fine di novembre la situazione peggiora sempre di più, per questo la famiglia decide di partire in viaggio verso Lourdes. A Marsiglia, una sera, Antonio appare strano e in preda a dolori fortissimi afferma di provare una sensazione nuova: “Papà…papà: è una sensazione bellissima, mi sembra di essere in cielo, sento calore nella pancia che mi fa stare bene, mi viene di ballare, di cantare, di gridare, papà sto bene e pregherò per te perché possa sentirla anche tu questa bella sensazione che sto provando”.

Giunti a destinazione Antonio prega per gli altri e non per la sua guarigione, rassicurando sempre tutti che l’avrebbe fatto successivamente. Inizia lì la preghiera incessante della famiglia, ma la situazione non migliora e anche a casa il bimbo soffre con dolori atroci incontrollabili.

La fede di Antonio cresce sempre più grazie anche alla maestra delle elementari, che dopo aver preso in carico la classe si accorge di dover affrontare la terza recidiva di un tumore maligno. La sua grandissima fede la porta a raccontare agli studenti il suo solido rapporto con Dio e il senso della Vita Eterna. Quando il bambino si aggrava confida alla collega: “Se Antonio sta andando, devo andare prima io: devo essere io ad accoglierlo in Cielo!” e così accade.

Dopo una notte passata svegli per via dei dolori e della sofferenza, alla vigilia dell’Epifania, decidono di andare in ospedale e finalmente gli operatori sanitari riescono ad alleviare i dolori. Stremato, Antonio si reca nel corridoio del reparto e inizia a piangere. Questa cosa stupisce la madre perché Antonio non piange mai per la sofferenza e lo fa quando essa smette di tormentarlo, lui risponde: “Mamma sto pensando a quanto ha sofferto Gesù sulla croce, la mia sofferenza in confronto è niente”.

La fatica continua e anche Antonio cade nella tentazione e afferma di arrabbiarsi con Gesù dicendo che non lo aiuta e che è inutile pregare. Questi momenti però durano poco, chiede quindi scusa a Gesù e torna a fidarsi di Lui nonostante sia scoraggiato.

Un pomeriggio, a casa di Padre Marco Lupo della Chiesa dell’Acquasanta dove frequentano un gruppo di preghiera, avviene un primo miracolo del cuore: Antonio non si lamenta più e incoraggia tutti ad andare avanti. In ginocchio a causa dei dolori stringe i pugni e dice alla madre: “Mamma, non ha importanza se adesso Gesù non mi guarisce, tanto io so che con la mia sofferenza sta guarendo i bambini del reparto”.

Negli ultimi mesi Antonio passa le giornate facendo recitare giorno e notte la Divina Misericordia alla famiglia e nutrendosi solo di Eucarestia e, pur sembrando in coma, riesce sempre ad aprire gli occhi e dire “Amen”.

Il 21 febbraio 2013 viene portata a casa la Madonnina di Medjugorje in scala reale che non va mai negli appartamenti perché non rientra nei progetti della Signora Cetty che si occupa di donarla solo alle chiese. Quando vanno via tutti, la madre gli chiede per quale motivo è in casa loro, lui risponde che la Madonnina è venuta a prenderlo.

Il 23 febbraio Antonio sale al Cielo con la sua amata Madonnina. “Signore… non ti chiediamo perché te lo sei preso, ma ti ringraziamo per avercelo donato”.

(fonti: https://it.aleteia.org/2017/09/23/mamma-sto-pensando-a-quanto-ha-sofferto-gesu-sulla-croce-la-mia-sofferenza-in-confronto-e-niente, https://lanuovabq.it/it/un-bambino-predestinato-nellamore)

GIOVANNA DI MARIA: L’AMORE PER IL PERDONO

La penitenza ci concede il perdono dei peccati ridonandoci la Grazia perduta e sostenendoci nel combattimento contro il male.

(La santità – Le cose ordinarie in modo straordinario)

 
Giovanna Rita di Maria nasce il 30 novembre 1989 ad Alghero. Cresce a Sassari con una famiglia di sani principi e una fede molto salda.

Ha molti amici e una passione per la pallavolo, piena di energia e di entusiasmo “in questa ordinarietà cresceva con lei qualcosa di straordinario”.

È una bambina ordinata e sempre pronta ad aiutare chi le chiede aiuto, come bambini e anziani. La sua attenzione verso l’altro si nota quando decide di iniziare a dormire per terra, dice che la fa stare bene perché si sente vicino a chi lo fa per necessità.

Già ad otto anni mostra una grande maturità nella fede: “II grande messaggio di Gesù è: pace, amore, gioia. Io vorrei fare qualcosa per migliorare il mondo. Secondo me se ognuno si impegnasse a fare buone azioni il mondo migliorerebbe. Gesù nel nostro cuore non deve vivere come ospite ma come padrone di casa”.

La preghiera preferita di Giovanna è quella del perdono, prende dalla madre una cartolina sul perdono portata a casa dopo un incontro con il Rinnovamento nello Spirito Santo: “Fin da bambina la teneva gelosamente custodita sotto il cuscino, raccomandando ad ogni occasione che restasse sempre lì, costantemente a portata di mano, a mo’ di compagna inseparabile anche durante il sonno. Lei ripeteva sempre che Dio è gioia e non c’è gioia nel cuore se non c’è il Perdono”.

Per lei il perdono è tutto, infatti una volta un’amica le fa un torto grave, i genitori le consigliano di tenersi a distanza da lei, dopo poco le vedono abbracciate, chiedendo spiegazioni risponde alla madre: “Mamma tu ancora non mi conosci: io devo perdonare”.

Quando le giunge la notizia di una bambina ammalata di tumore decide di mandarle libri e videocassette di cartoni animati, chiede di conoscerla, ma la bambina sale al Cielo prima.

Spesso parla della vita dopo la morte, una volta parlando con sua madre dice: “Mamma, se io dovessi morire non ti preoccupare, intanto hai Ettore e devi stare serena… Se il Signore mi vuole io sono pronta”. La madre in una testimonianza racconta: “Mi diceva che sarebbe morta da giovane e che voleva andare in cielo e da lì vedere le persone che avevano bisogno per poterle aiutare. Una mattina, appena sveglia, mi raccontò che prima di addormentarsi aveva ricevuto la visita di un Angelo, tutto bianco e con grandi ali. “Mi ha preso in braccio – disse – mi ha fatto fare il giro della casa, entrando in tutte le stanze, e poi mi ha rimesso a letto”.

Il 18 ottobre, a 12 anni, finito un allenamento di pallavolo, sceglie di salutare tutte le compagne e le allenatrici una ad una anche se le avrebbe riviste dopo due giorni, quando torna a casa chiede al fratello di vedere il diario e di nascosto gli scrive: “Vivi la cosa che non avrai mai due volte: la vita”.

Facendo una ruota le viene un forte mal di testa, il padre la porta velocemente in pronto soccorso e arriva la diagnosi: Giovanna è colpita da una devastante emorragia celebrale. Dopo 6 giorni, nasce al Cielo.

“Io e mio marito non ci siamo mai arrabbiati perché ci è stata tolta, ma abbiamo sempre ringraziato Dio per avercela donata. Come se in quel momento io sentissi dentro di me da dove era venuta e dove era ritornata Giovanna: il Paradiso”.

(fonti: http://giovannadimaria.altervista.org/vita.html, https://santuariosantarita.it/un-angelo-di-nome-kiri/, https://youtu.be/25YADWhuumg)

EMER MEZZANOTTE: IL RIFLESSO DI DIO

[…] Non si fa discernimento per scoprire cos’altro possiamo ricavare da questa vita, ma per riconoscere come possiamo compiere meglio la missione che ci è stata affidata nel Battesimo, e ciò implica essere disposti a rinunce fino a dare tutto. Infatti, la felicità è paradossale e ci regala le migliori esperienze quando accettiamo quella logica misteriosa che non è di questo mondo. Come diceva san Bonaventura riferendosi alla croce: «Questa è la nostra logica». Se uno assume questa dinamica, allora non lascia anestetizzare la propria coscienza e si apre generosamente al discernimento.

(Papa Francesco, GE 174)

 
Emer nasce a Carpi il 17 aprile 1974. Al momento della nascita gli viene affidato il nome del nonno: tutti si interrogano su tale significato. Il nome deriva dal greco e vuol dire ‘giorno’, “e ripensando alla simbologia del giorno come luce, ci appare oggi quasi come una premonizione”.

L’infanzia di Emer è simile a quella degli altri bambini: dolce, affettuoso e docile ai genitori.

Quando Emer ha sei anni, la mamma si sottopone a un intervento chirurgico delicato, lui soffre in quei giorni, ma con il rincaso della madre torna anche la gioia e lui inizia ad essere premuroso e servizievole in tutto.

Durante le elementari il suo carattere si vivacizza: rimane sempre rispettoso verso i genitori, ma iniziano a scorgere tratti più esuberanti del suo carattere.

A 9 anni entra a far parte del gruppo scout locale dove ci rimane fino a 17 anni. Questa diventa l’occasione per conoscere nuovi amici, in particolare Filippo, e per crescere nell’esperienza umana.

L’anno successivo il padre, medico chirurgo, decide di lasciare l’ospedale e di partire volontario per il Pakistan per una missione di 4 mesi con la Croce Rossa. Questa notizia scuote tutti, soprattutto coloro che rimangono a casa. Dopo un solo mese scoppia una bomba nell’accampamento dove si trova il padre che non subisce danni, ma decide di tornare a casa. Riunita tutta la famiglia, si avvicinano al movimento Neocatecumenale.

Da un tema svolto in classe, di cui non sono mai stati resi pubblici i contenuti, la maestra, stupita, intuisce una propensione religiosa di Emer e dice alla madre: “questo ragazzo diventerà sacerdote”.

Durante le scuole medie, Emer ottiene ancora ottimi risultati e si nota un atteggiamento sempre più maturo, la sua esuberanza lascia spazio alla serietà, è molto composto. La dinamica si ripete anche al liceo, dove non mancano le soddisfazioni.

In questo periodo adolescenziale si nota il continuo avvicinamento di Emer verso Dio. La sera si reca in duomo con il breviario in mano, si fa più riservato, ma non nasconde la sua dolcezza e il suo affetto. Conosce la comunità monastica dei “Figli di Dio”, dove nel 1991 viene portato a visitare la casa madre a Settignano dove poi entra nell’aspirantato della comunità iniziando successivamente un cammino di formazione spirituale più specifica a Modena. Al suo rientro la madre lo descrive così: “Emer è trasformato dopo Settignano: al suo ritorno si è dimostrato immediatamente più disponibile e servizievole: va a prendere l’acqua in garage senza che glielo debba chiedere due volte, custodisce il cane… È mite, servizievole, molto sereno”.

Man mano che Emer diventa grande, cresce anche il suo carattere e la sua fede: è esigente. Sostenuto dall’amico Filippo, si confidano le difficoltà della vita quotidiana, in quanto provano entrambi disagio con i ragazzi della loro età trovandoli superficiali e insensibili a Dio.

Emer è ormai cambiato, si allontana sempre più dai suoi amici: sceglie di vivere “cose buone e serie”. Molti dei suoi atteggiamenti mostrano “purezza”, la sua preghiera si intensifica e decide di andare a Messa tutti i giorni e, quando riesce, recita tutte le sere con Filippo i Vespri.

Inizia a dialogare con Don Serafino, il quale presto gli parla del tema della chiamata di Dio. Non viene mai esplicitata da Emer la chiamata al dono totale, ma alcuni dei suoi atteggiamenti e dichiarazioni mostrano una tale inclinazione.

Nell’agosto 1991 subisce un incidente stradale: viene travolto da un motociclista ad alta velocità mentre è su un vecchio motorino del nonno. Il suo unico pensiero in quella situazione è la preoccupazione del dispiacere che avrebbe procurato ai suoi genitori. Dopo una lunga convalescenza si riprende completamente.

Guarito dalle ferite dell’incidente, Emer accusa un dolore alla testa, nella zona frontale. Inizia delle cure per una presunta sinusite, però, non ottenendo nessun effetto si sottopone poi ad una visita più accurata.

In quell’attesa continua a frequentare la comunità. Durante una catechesi Emer è costretto a tenere lo sguardo verso il basso per il forte dolore alla testa e la continua lacrimazione di un occhio, il padre gli chiede se gli è piaciuto, lui sa già le cose udite, aggiunge poi “Dio c’è”.

A metà febbraio del 1992 esegue TAC e RMN, alcuni colleghi del padre lo mettono in contatto con uno dei migliori chirurghi maxillo-facciale di Parma dove viene ricoverato per iniziare gli accertamenti. Consegnano al padre la diagnosi di neoplasia maligna, una forma rara ed estremamente aggressiva.

Prima di iniziare i cicli di chemioterapie, Emer chiede di ricevere l’unzione con l’olio degli infermi. La cosa che più stupisce è il fatto che non vuole sapere nulla della sua malattia, si affida completamente ai suoi genitori e alle loro scelte.

Una sera il dolore alla testa è così forte da invalidarlo in tutto, pure nelle relazioni, così il padre, d’impulso, gli mette la mano sulla testa. Con quel gesto all’inizio gli provoca un grande dolore ma, dopo dieci minuti, il figlio è tramortito, viene accompagnato sul divano e poi sul letto dove dorme per due giorni e mezzo. Si risveglia senza dolore e ricomincia a mangiare.

Verso la fine di marzo le chemioterapie debilitano molto Emer, ma lui decide di continuare ad andare a scuola e affrontare interrogazioni e compiti per non compromettere l’anno. Un giorno a scuola si accorge di essere cieco da un occhio e dopo una visita emerge che è un effetto collaterale dei farmaci: ricomincia subito a studiare.

Il tumore avanza, raggiunge il cervello e i nervi ottici. Emer è cieco da un occhio e l’altro è spinto fuori dall’orbita. Ciò non gli impedisce di fare un compito di greco raggiungendo un ottimo risultato.

Riceve per la seconda volta l’unzione degli infermi e il Martedì Santo viene ricoverato per eseguire l’intervento. Quel giorno dice al padre di non vederci e gli confida di non farcela più.

Il Giovedì Santo, nella notte, pronuncia con pacata dolcezza: “Gesù, Gesù”, poi si rannicchia nel letto come i bambini nel ventre materno. Quel giorno è sottoposto all’intervento che va meglio di quanto pensano: i medici rimuovono tutta la massa, rimangono solo dei piccoli residui da irradiare molto presto.

Il giorno seguente Emer diventa maggiorenne, ma è così debilitato dall’intervento e dall’anestesia che passa la giornata dormendo. Il Sabato Santo va in coma per un’eccessiva perdita di liquido cerebrospinale dal drenaggio ma, il giorno dopo, Pasqua, si sveglia, parla bene e chiede di alzarsi.

Il 24 aprile si consacra a Dio all’ospedale di Parma. Lo stesso giorno a Brescia gli viene data una risposta negativa sulla sua possibilità di recupero, i medici rifiutano di fargli la radioterapia perché il caso è irrecuperabile. Dopo tutti quegli avvenimenti viene don Serafino nella sua stanza d’ospedale per recitare la Santa Messa, e prima di ricevere la Comunione Emer esprime a voce alta la sua donazione: “Oggi io, Emer, alla presenza di Dio Onnipotente, della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi, alla presenza di voi, padre, e di voi fratelli intendo donarmi e consacrarmi totalmente e per sempre a servizio e lode del Verbo di Dio incarnato per nostro amore, nella Comunità dei figli di Dio”. “A servizio e lode del Verbo di Dio…”.

Dopo quel momento la vita di Emer cambia: “è come se entrasse in uno stato di abbandono, di fiducia, di pace, sembra che aspetti la morte o, meglio, l’adempimento di ciò che ha promesso”.

Nei giorni successivi i genitori decidono di portare Emer a casa a morire dove in realtà rimane pochi giorni per tornare successivamente in ospedale. È sempre lucido. Le sue condizioni cliniche e fisiche peggiorano: il tumore esplode con recidive al cervello, nell’orbita sinistra e nella guancia sinistra. Sta a letto sdraiato, mangia solo gelato. Sta in silenzio, ma la sua vita interiore non è di certo ferma. “Emer colpisce per la straordinaria serenità con cui soffre”.

Verso il 22 maggio inizia “l’epilogo dell’agonia di Emer”: inizia a sanguinare, viene continuamente ripulito, fasciato, tamponato ma nulla blocca l’emorragia.

Emer muore il 31 maggio, solennità dell’Ascensione di Cristo. Prima di salire al Cielo riceve per la terza volta il sacramento dell’unzione degli infermi. “Ho sete” sono le sue ultime parole, come Gesù. Alle 14.15, durante il suo abbandono, i monaci della Casa S. Sergio cantano l’antifona dei salmi dell’ora nona: “Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.

(fonte: https://rosarioonline.altervista.org/libri/GiovaniSanti/index.php?santo=EmerMezzanotte)

CHIARA MARIA BRUNO: IL SORRISO VERSO DIO

In tale silenzio è possibile discernere, alla luce dello Spirito, le vie di santità che il Signore ci propone. Diversamente, tutte le nostre decisioni potranno essere soltanto “decorazioni” che, invece di esaltare il Vangelo nella nostra vita, lo ricopriranno e lo soffocheranno. Per ogni discepolo è indispensabile stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui, imparare sempre. Se non ascoltiamo, tutte le nostre parole saranno unicamente rumori che non servono a niente.

(Papa Francesco, GE 150)

 
Nel 1991 nasce Chiara Maria Bruno, una bambina solare, con tanti amici tra scuola, pallavolo e parrocchia.

All’età di 19 anni, nel 2010, nota sulla cute del suo corpo alcune macchie. Da lì si attiva per eseguire visite mediche alle quali non viene data diagnosi se non stress e forme allergiche.

Dopo cinque anni arriva la diagnosi: linfoma di non-Hodgkin di tipo T cutaneo. La cosa che più stupisce è il fatto che questa malattia solitamente colpisce gli uomini adulti. Tale malattia, durante la sua evoluzione, converte le macchie in dolorose lesioni cutanee.

Chiara, nonostante le difficoltà, non si arrende e decide di affrontare la malattia con coraggio e determinazione, arrivando a svolgere cicli di chemioterapia.

Durante il periodo delle cure si iscrive alla Facoltà di Chimica e Tecnologia Farmacologica e continua a frequentare la sua comunità parrocchiale non sottraendosi mai alle richieste di aiuto di persone bisognose.

Chiara non si chiede mai il motivo della sua malattia e sofferenza e sceglie di entrare sempre nella volontà del Signore senza riserve: “Perciò prego Dio che mi doni la costanza nella preghiera quotidiana, che mi doni la fede ogni giorno, e che mi doni la forza di combattere la malattia sempre rispettando la Sua volontà”.

Inizialmente sembra che le cure stiano funzionando e si accende anche la speranza della possibilità di un trapianto di midollo osseo dalla sorella compatibile, attuabile solo con la completa remissione della malattia.

I desideri di Chiara sono molti, primo fra tutti formare una famiglia con il suo fidanzato Stefano. La possibilità però di fare figli diventa complessa in vista del trapianto, esso infatti l’avrebbe resa sterile. Decidono così di conservare la sua fonte di vita.

Il 5 marzo 2016, in seguito ad una crisi epilettica, viene ricoverata in oncoematologia a Tor Vergata e le viene comunicato che il tumore è arrivato al cervello.

Quel reparto diventa il luogo della sua Passione che la conduce a Gesù e la sala d’aspetto – viene riportato in varie testimonianze – “divenne il centro del mondo dove la Shekhinah di Dio scese su tutti coloro che erano attirati irrimediabilmente lì”. In tutti i luoghi dell’ospedale è incessante la preghiera rivolta verso Dio.

Chiara in quei giorni è Luce per chi la incontra e il suo fidanzato, guidato dalla Grazia, le porta conforto, sorriso e forza.

Chiara esprime il desiderio di ricevere ogni giorno l’Eucarestia e nonostante le difficoltà nella deglutizione riesce sempre a realizzarlo.

Nell’attesa dell’arrivo della Pasqua 2016, il presbitero della sua parrocchia le chiede di scrivere delle riflessioni sulle letture della Veglia. Desidera tanto partecipare, ma date le sue condizioni cliniche non ci riesce.

Chiara Maria muore il 23 aprile 2016, poco prima scrive: “Quando ti ammali di una malattia seria, è inevitabile che il pensiero vada anche alla morte. Una delle mie più grandi paure, non è tanto quella di morire, ma è quella di morire lontana da Cristo”.

(fonte: http://secretariat.synod.va/content/synod2018/it/giovani-testimoni/chiara-maria-bruno-una-ragazza-solare.html)

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Guarda la testimonianza del padre e del fidanzato di Chiara Maria a Bel tempo si spera.