Alle porte dell’avvento, a seguito del difficile momento storico che stiamo vivendo, ciò che desta maggiore preoccupazione tra i miei coetanei è la paura di trascorrere i giorni di festa in solitudine, senza la presenza degli affetti più cari. “Speriamo di non essere zona rossa così almeno potrò tornare a casa per quei giorni!”: questa è l’affermazione che risuona più di frequente.
In un momento di riflessione personale, banalmente, ho pensato come il colore rosso, che da sempre rimanda alla gioia del Natale, di colpo si sia trasformato in un incubo. Andando più a fondo, ho maturato quanto le cose del mondo siano menzogna se osservate e vissute così come appaiono/ci vengono proposte. In questo caso il rosso ha assunto un’accezione diversa e quindi in esso risiedono due “verità”, ma la VERITÀ è, e non dipende dal significato che gli si attribuisce; quindi, allargando gli orizzonti, la chiave per vivere al meglio questo tempo di prova è guardare ciò che viviamo con gli occhi di Dio che è VIA, VERITÀ e VITA.
Quando la pandemia ha cominciato a prendere piede a marzo stavo lavorando in una casa di riposo in provincia di Modena e mi sono ritrovata, assieme ai miei colleghi, a lavorare per circa due settimane senza le giuste precauzioni: mi sono sentita come carne al macello. La paura del contagio era tanta, sia per la sofferenza tangibile nel corpo e negli occhi degli anziani che accudivo, sia per le notizie che passavano al telegiornale; non da meno erano anche le pressioni dei miei cari che quotidianamente, nonostante i chilometri di distanza che ci separavano, mi imponevano di non recarmi a lavoro se non avessi avuto le giuste protezioni facendo leva sul fatto che la vita vale più dei soldi. Come dargli torto? In effetti, a differenza di molti altri, non avevo una famiglia da accudire o un mutuo da pagare… ma avevano dimenticato una cosa fondamentale: avevo una vita da VIVERE. Se non io, chi? Se non adesso, quando? Esiste uomo la cui vita vale meno della mia, onde per cui valga la pena metterla a rischio? Ad ognuno di noi è chiesto di vivere qui ed ora con responsabilità e prudenza. Tengo a precisare che in quei giorni non mi sono sentita un’eroina come il mondo ha voluto far credere e che la tentazione di abbandonare il lavoro mi tormentava tutti i giorni, ma in compenso posso affermare di aver sperimentato che cosa significhi essere figlia amata e voluta da Dio.
La tribolazione per me è stata OCCASIONE di crescita nella relazione con il Signore, fondamentale è stato rapportarmi con la Parola che davvero ogni giorno si è fatta carne e percepivo, in cuor mio, che nulla avrebbe potuto scalfirmi. Riportando le parole di San Paolo “per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene”; è per FEDE che l’emorroissa si è salvata, è per FEDE che il cieco sulla strada di Gerico è tornato a vedere: è per FEDE che noi possiamo affrontare e superare con intima gioia questo momento. La paura è stata vinta perché abitata dalla consapevolezza che Dio è Padre e può un padre volere il male dei propri figli o persino abbandonarli? Se è vero che l’altro è il luogo dove Dio prende dimora, allora è altrettanto vero che nel nostro prossimo possiamo sperimentare il suo amore e il suo aiuto.
In virtù di questo, rendo grazie a Rossella che con il suo fare materno mi ha fatto sentire sempre a casa, a Fabiola che con la sua complicità mi è stata sorella, a Paolo che è riuscito a dare dimostrazione di come un uomo possa amare una donna anche senza sfiorarla, alla signora Maria Teresa che con il suo donarsi senza misura mi ha fatto comprendere che vi è più gioia nel donare che nel ricevere, alle sue nipotine Miriam e Margherita che non avendo filtri nel parlare mi hanno fatto riscoprire la bellezza della sincerità, agli anziani di cui mi sono presa cura che hanno riacceso in me il sentimento della tenerezza…
Come vivere, quindi, l’avvento in questo tempo di prova? Come poter gioire di questa attesa se la nostra preoccupazione principale è diventata la paura del contagio o il colore della Regione di appartenenza?
Prova a chiedere a Dio la forza di portare la tua croce perché un buon Padre non toglie la sofferenza ma ti insegna ad affrontarla; impara a RICONOSCERE il kairòs, il passaggio di Dio nel tuo quotidiano perché sapere di essere amati non basta… hai bisogno di sentirti amato per poter amare; ASCOLTA è l’opera di carità più grande che tu possa compiere nei confronti del tuo prossimo che si sente frustrato, stanco e irascibile perché non compreso nei suoi bisogni; PREGA perché bisogna vivere e non sopravvivere; AMA perché una vita senza amore, non è vita.
Mi chiamo Addolorata, per gli amici Dora, ho venticinque anni e sono un’infermiera. Ti saluto lasciandoti come spunto di riflessione l’immagine di Zaccheo che nonostante il suo limite fisico e la presenza della folla attorno a sé, non si è lasciato prendere dallo sconforto e si è lasciato incontrare dal Signore salendo su un albero. Se la folla dovesse essere il Covid e il tuo limite la paura del contagio, quale sarebbe il tuo albero?