Abramo #1

Abramo

Iniziamo con Abramo un percorso su figure bibliche che possono parlare al nostro quotidiano…

 

Le riflessioni sono tratte da: P. Curtaz, Il cercatore, lo scampato, l’astuto, il sognatore, San Paolo, 2016. 

 

 Vattene dalla tua terra….

Signore disse ad Abramo:

«Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti mostrerò, cosicché faccia di te una grande nazione e ti benedica e faccia grande il tuo nome, e tu possa essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te acquisteranno benedizione tutte le tribù della terra» (Gen 12,1-9).

Tutto inizia qui: da questo racconto scarno e misterioso che parla di un uomo non più giovane che lascia tutto ciò che ha per seguire una voce interiore.

«Il Signore disse ad Abramo»

Dio parla. E, questa volta, lo fa con Abramo.

Il Signore disse. È Dio che prende l’iniziativa, lui che si comunica, lui che bussa discretamente alla porta del cuore di Abramo, e di ciascuno di noi.

«Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti mostrerò»

 

Orme sulla sabbiaVattene. Va’ via. Fuori, aria, sgombra. Lascia tutto: terra, clan, famiglia. Per cosa? A che scopo? Non si sa, vedremo, poi ti mostrerò una terra, un luogo, una nuova dimensione. Per ora, vattene.

Vattene senza sapere, vattene senza avere una meta definita e chiara. Va’ via.

Immagina come si sia sentito Abramo dopo avere udito questo appello riecheggiare nella propria anima. Davanti a sé ha una vita che sembra segnata, conclusa, colma di problemi: l’assenza di una discendenza, il peso di un nipote rimasto orfano, una moglie depressa, la mancanza di prospettive e di soluzioni… Non ha vie d’uscita. È proprio allora che Dio interviene, ribaltando il tavolo: propone ad Abramo di mollare tutto, di lasciar perdere quello che fino ad allora si è costruito. Di resettare, azzerare, ripartire.

Abramo, attraverso un’abile rappresentazione, visualizza il suo disagio: gli idoli che costruisce, che serve, sono inutili, inanimati, non portano da nessuna parte. Per incontrare Dio e se stessi bisogna, anzitutto, distruggere gli idoli o, almeno, accantonarli, svuotarli di potere. La chiamata interiore si innesta su un grido. Il grido dell’anima che cerca di liberarsi dalle pesanti catene di cui ci siamo (o che ci hanno) caricati. Così accade anche a noi: la ricerca di fede, anche se siamo già credenti – proprio come Abramo! – avviene quando qualcosa in noi si spezza, quando prendiamo coscienza che esiste un altrove dove andare, che la nostra vita non si consuma nell’inseguire sogni quasi sempre irrealizzabili e fragili. Quando il grido esce, come una preghiera confusa, come un’invocazione che non maledice ma anela, Dio interviene, ora che siamo disposti ad ascoltare.

 

Lekh lekhà!

Vattene! Esci! Nel testo originale si legge Lekh lekhà! che traduciamo con va’ via! Ma che, letteralmente, significa, va’ per te stesso o va’, ti conviene! Uscire significa, allora, entrare. Entrare in noi stessi, scoprire la dimensione della nostra interiorità che abbiamo trascurato, accorgerci di avere un’anima. Anima che non è la somma delle nostre emozioni, o dei nostri pensieri ma che è all’origine dei nostri pensieri e delle nostre emozioni e che possiamo scoprire con un lavoro costante di riflessione e di silenzio, di lettura orante della Bibbia e di preghiera. Esiste l’anima, eccome! È un brandello della scintilla divina che abbiamo ricevuto nel momento del nostro concepimento, è il desiderio insopprimibile di assoluto e di pienezza che portiamo incollato nel cuore, è la percezione sana, profonda, irremovibile, di essere gettati nell’esistenza con uno scopo. Questo deve fare Abramo, passare dal “fuori” al “dentro”, abbandonare gli idoli. Gli conviene, è il momento giusto. Lasciare la città, la folla, il giudizio degli altri, i legami, non sempre costruttivi e fecondi, con i famigliari, per andare altrove. L’uscire dalla città per andare nel deserto è il movimento della consapevolezza, il prendere in mano il proprio destino, decidere di vivere da protagonisti la propria vita. Ma per andare dove? Non lo sa ancora. Lo saprà solo camminando, muovendosi. Finché sta fermo, racchiuso nel suo piccolo mondo, nel suo dolore, nelle mille incombenze che cerca di governare, non capirà mai che esiste un altro luogo, un altro sé da scoprire. Solo camminando scopriremo dov’è la meta. Come tutti noi, vorrebbe chiedere: Dove? Andare dove? Chiedere: Dove abiti? (Gv 1,39). Ma saperlo significherebbe, ancora e ancora, voler tenere tutto in mano, condurre, pianificare, essere noi i signori della nostra vita. Fare del nostro schema mentale un ulteriore idolo cui sacrificare energie e tempo. Qui, invece, si tratta di fidarsi.

Il Dio del quale si racconta nella Bibbia, colui in cui credo e che cerco, è il primo a smuoverci dalle nostre presunte certezze, a farci rientrare in noi stessi, a volere per noi un cammino, una crescita, una fioritura.

carovana deserto

Abramo deve lasciare la terra come prima cosa. Relativamente facile, per un nomade. Facile anche per noi, oggi, che ci spostiamo agevolmente, che seguiamo il lavoro dove c’è o che corriamo dietro ai nostri interessi o a un amore.

Poi deve allontanarsi dalla parentela, dalla tribù, dal clan. Cosa decisamente più impegnativa. Sappiamo bene quanto siano importanti le radici famigliari, il luogo in cui siamo nati, in cui siamo cresciuti, la scuola, i compagni, la parrocchia, i rapporti di parentela… Ancora oggi molte nostre decisioni sono influenzate da quello che, consapevolmente o inconsciamente, abbiamo ricevuto dal nostro ambiente parentale, dal quartiere in cui siamo cresciuti, dal paesino in cui abbiamo mosso i primi passi verso la vita. Molti di noi sono stati educati a rispettare scrupolosamente le regole non dette del clan, il giudizio della gente, apparendo così come gli altri si aspettano. E faticano a farle proprie come scelte di vita.

Più difficile ancora è allontanarsi dalla casa del padre, dalla famiglia, dai legami di sangue. Le relazioni affettive, famigliari, sono al centro della nostra vita emotiva. Sono fonte di grandi gioie e di enormi sofferenze e incomprensioni, un banco di prova che giunge a influenzare, a volte molto negativamente, la vita delle persone. In ambiente cattolico, poi, il rischio (spero commesso in buona fede!) di far diventare la famiglia un idolo è molto presente. Siamo chiamati a testimoniare la peculiarità della proposta cristiana sugli affetti in questo mondo ma vale la pena di ricordare che, nel Vangelo, anche il più grande amore, per un coniuge, per un figlio, è e resta realtà penultima. Prima della famiglia c’è il discepolato. Abramo lo sa: deve lasciare la sua famiglia. Suo padre è morto, certo, ma deve lasciare l’idea che ha di lui, il suo fantasma, il suo giudizio. E farà i conti anche con la sua fragilità affettiva, come vedremo abbondantemente, con la famiglia che tenterà di costruire, con sua moglie e con i suoi figli, legittimi e illegittimi. Anche gli affetti possono diventare un idolo, quando li carichiamo di attese che non possono in alcun modo soddisfare.

Abramo parte. La Parola non indugia nel descrivere le sue notti insonni, non concede nulla alla legittima curiosità del lettore su come sia arrivato a quella drastica decisione. Non si sa come, alla fine, sia giunto a quella scelta; forse nemmeno importa. Contano sempre le scelte, le decisioni, più che il percorso tortuoso che abbiamo compiuto per farle. Parte. Ascolta la sua spinta interiore. Lascia tutto.

Il testo riporta qualche toponimo, tappe del suo viaggio che da interiore diventa esteriore. Capiamo che lascia Ur e scende verso il Sud, verso Gerusalemme. Abramo si dirige verso il centro della rivelazione biblica, cammina verso la conoscenza del Dio che si rivelerà a Israele. Cammina verso quel Dio, non verso un dio qualunque. Il cammino interiore non è un invito a seguire una spiritualità generica, a scoprire in età matura la propria anima, ora che è tanto di moda, imparando ad ascoltare se stessi.

Abramo, e noi con lui, è invitato a dirigersi incontro al Dio d’Israele. Quando una persona entra in crisi, quando decide di andare oltre, quando la vita presenta il conto, non si offrono soluzioni globali, suggerimenti generali, mi spiace. Si dice quello che abbiamo scoperto: ascolta la tua sete, cerca Dio, non giocare a fare il mistico. Ma cerca nella direzione giusta, verso Gerusalemme. Cerca il Dio di Gesù. Cammina in quella direzione. Meglio fare un piccolo passo nella direzione giusta, piuttosto che correre a grandi falcate nella direzione sbagliata. Parte, Abramo, e va verso il luogo che gli permetterà di scoprire l’abisso luminoso e oscuro di Dio.

Continua …

Bookmark the permalink.

Comments are closed.