UnNomeunaPromessa#5 – Il Nome che risveglia alla Speranza

Maria Maddalena e GesùCaro giovane, queste parole ti raggiungono nel tempo bello che stiamo vivendo: il Tempo di Pasqua. Chissà se hai fatto il gioco di ruolo che ti è stato proposto lo scorso mese… Proprio perché è importante che tu lo faccia, mettendoti al posto di Maria Maddalena davanti alla voce del Signore risorto, ti proponiamo una lettura che ti può aiutare ad approfondire l’importanza del nome, del tuo nome che, pronunciato con amore, risveglia alla Speranza, ricorda la Promessa. Il brano biblico a cui l’autore fa riferimento è Giovanni 20,11-18.

Buona lettura e buon cammino di risurrezione!

 

Da CRISTIANO D’ANGELO, L’amore del trafitto. Discepolato e maturità cristiana, EDB, 2007, pagg. 97-99

Una sola parola, il proprio nome ripetuto con amore, detto da chi ci ama e ci conosce, da chi vede in noi il dolore e lo sostiene, non lasciandosene vincere e imprigionare. È il nome la chiave che apre la porta del cuore sepolto di Maria. Il nome detto nel modo in cui il maestro lo diceva, quel nome che ti ricorda le strade, le scoperte, i doni e le grazie che solo l’amore fa nascere in noi.

Forse anche la speranza, sorprendente e inaspettata, dei poveri negli slums, nelle baraccopoli o nelle favelas non è altro che quella catena di nomi ripetuti, detti, da povero a povero, con amore. Pietro e il discepolo amato lasciano Maria sola, non hanno la forza di pronunciare quel nome con lo stesso amore di Gesù. Niente istilla di più la speranza nel cuore e nell’animo delle presone che il loro nome ripetuto con amore. Per questo le madri e i padri quando, senza negare la realtà del male, sanno dire, anche in situazioni difficili, parole d’amore ai propri figli, li temprano alla speranza.

Perché la speranza è una porta sempre aperta sul dolore del mondo, sugli insuccessi e sulle ingiustizie subite. La speranza è una porta sempre aperta, spalancata dall’amore, dal nostro nome detto con fiducia, perché l’amore è il promemoria di un’altra vita, è il segno vivente di un mondo altro che in noi già esiste. La speranza, la forza di non cedere al male, di rimanere in piedi e proseguire sempre non è uno sforzo, un atto di eroismo, ma è il rosario ripetuto, incessante, sempre presente in noi del nome detto con amore, il nostro nome, come il sussurro incessante di una litania interiore senza posa.

Chi spera può anche morire affrontando il male, ma è un morire che non conosce mai violenza, un morire da miti, perché il martire della speranza trova la forza nell’amore, a differenza del fanatico che solo nell’odio, nel risentimento nutre il gesto anche dell’offerta suprema della vita.

Quest’ultimo, il fanatico, muore e fa violenza, perpetuando la violenza che l’ha generato; l’altro, il martire di speranza, muore mite, interrompendo la violenza, ponendo le basi della pace, mostrando con il suo stesso morire, frutto di speranza, la possibilità reale di un mondo e un modo diverso di vivere la vita.

Il pertugio di un mondo nuovo, di un oltre diverso è aperto in noi da qual bisbiglio d’amore fatto dalle sillabe e dalle lettere del nostro nome ripetuto con amore.

Non è un altro discorso, un altro miracolo che apre il cuore di Maria, ma il suo nome detto dal Maestro, dall’Amore. Il Risorto vince il dolore, l’incredulità e la disperazione di Maria semplicemente pronunciando il suo nome.

La testimonianza della speranza è un fatto di nomi, prima che di ogni altra cosa.

La vita spirituale in noi è il luogo dove è custodito gelosamente l’eco del nostro nome ripetuto con amore da Dio. Un’eco che si forma in una storia, fragile come ogni sussurro.

Un’eco tenuta viva dalle parole, dalla memoria, dalla liturgia quotidiana del custodire il bene.

Un’eco legata alla sottile invisibile reciproca appartenenza dell’anima e del corpo, alle fragilità, alle paure, alle ferite, alla storia che ci prova e ci agita nel vento del mare che talora rende incerto il nostro cammino e lo oscura.

Gesù cammina sulle acqueTenebre sempre incombenti, come nell’episodio del mare in cui Gesù va incontro ai discepoli sulla barca camminando sulle acque, «mentre era ormai buio» (Gv 6,17) o, come riporta il testo di alcuni autorevoli codici, «il buio li afferrò»[1] mentre Gesù non era ancora andato da loro e il mare era agitato perché tirava un forte vento (Gv 6,16-17).

Niente più della semplicità e dell’umiltà possono custodire, mantenere a galla quell’eco, come Pietro invitato dal maestro che lo chiama. Un’eco, come un camminare sulle acque, la cui forza è la speranza, perché la speranza è quell’eco.

Un’eco che apre le porte e lascia entrare la luce e la vita e traccia una strada diversa per ognuno verso l’eterno:

«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei Cieli» (Mt 5,8.3).

[1] Così il Sinaitico e il Codice D e altri manoscritti.

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